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Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile del Lavoro del Pd, in un’intervista a Fanpage.it ha commentato la decisione del governo – poi smentita – di non rinnovare Decontribuzione Sud. Guerra si è anche espressa sui referendum della Cgil – che vanno firmati per tenere acceso il dibattito – e sugli ennesimi morti sul lavoro a Casteldaccia, in provincia di Palermo.

Il 30 giugno 2024 scadrà Decontribuzione Sud, una misura che dal 2020 aiuta le aziende del Mezzogiorno riducendo i contributi da versare per tutti i dipendenti. Negli ultimi anni è sempre stata rinnovata, tramite trattative con l’Unione europea, ma ora sembra che il governo Meloni sia intenzionato a lasciarla scadere. O meglio, questo è quanto ha dichiarato e poi smentito il ministro Raffaele Fitto. Maria Cecilia Guerra, deputata e responsabile Lavoro per il Pd, ha risposto alle domande di Fanpage.it sottolineando le differenze tra Decontribuzione Sud (varata quando lei era sottosegretaria all’Economia) e le nuove misure messe in campo dal governo Meloni. L’accusa è quelli di aver “abbandonato” il Meridione.

Si è capito cosa vuole fare il governo con Decontribuzione Sud?

Le intenzioni iniziali sembravano abbastanza chiare. Questi aiuti devono avere un’autorizzazione europea, non sono automatici, e l’autorizzazione scade a giugno. L’intenzione dichiarata del governo era di non chiedere il rinnovo, lo ha detto lo stesso ministro Fitto in modo molto preciso: si voleva passare da questo tipo di agevolazioni a decontribuzioni più limitate, per singole categorie di lavoratori. Questa decisione è veramente allarmante.

Però poi il ministro Fitto ha detto che il governo “avvierà un negoziato con la Commissione europea” per rinnovare la misura.

Diciamo che più che a trattare andrebbe a ritrattare, nel senso che evidentemente ha cambiato opinione. Lui stesso pochi giorni prima aveva dichiarato, ai sindacati e alla stampa, che avrebbero sostituito Decontribuzione Sud. Non ce lo siamo inventati. Forse ha cambiato idea perché siamo sotto elezioni e rendere evidente una politica così maldestra può fare male.

Pensa che questo ripensamento servirà solo per permettere alla maggioranza di aspettare che passino le europee, e poi comunque il rinnovo non ci sarà?

Penso che questo rischia ci sia, poi le loro vere intenzioni non le conosco. Intanto bisognerà trovare i fondi, che credo siano stati dirottati altrove. In più una trattativa in Europa si può anche aprire, ma poi può essere portata avanti con vari livelli di ‘entusiasmo’ e determinazione. Vedremo se l’obiettivo è solo di arrivare al 9 giugno.

Lei era sottosegretaria all’Economia quando la Decontribuzione Sud fu lanciata. Ci spiega perché è importante?

Ha una funzione territoriale. Era stata pensata per compensare le aziende che operano nel Sud, un territorio dove sono svantaggiate in termini di infrastrutture e servizi pubblici rispetto al resto del Paese. Andava fino al 2029, con un calo graduale previsto negli anni. Serviva ad abbassare il costo del lavoro ed era rivolta a tutti i tipi di lavoratori (a tempo determinato o indeterminato). Doveva essere accompagnata in contemporanea da vari investimenti al Sud, cosa che quel governo fece.

E invece i nuovi incentivi varati dal governo Meloni?

Quella nuova (ma è ‘nuova’ tra virgolette, in parte sostituisce cose che c’erano già) porterebbe dei contributi solo per le nuove assunzioni, solo se a tempo indeterminato, e solo per categorie di soggetti che si pensa siano più in difficoltà per entrare nel mondo del lavoro: giovani, donne più svantaggiate, persone più lontane dal mercato del lavoro (disoccupati di lungo periodo…). È una logica completamente diversa. E diversi studi, tra cui uno dell’Inapp, ci mostrano che misure di questo tipo sono un’arma spuntata: spesso vengono usate da imprese che assumerebbero lo stesso. Più in generale, è uno strumento poco adatto per il mercato del lavoro oggi in Italia.

In che senso?

Pensando ad esempio alle categorie coinvolte, ci sono i giovani: ma loro sono proprio la manodopera più necessaria, che senso ha incentivare le imprese ad assumerli facendogli pagare meno contributi? E per quanto riguarda le donne, il problema dell’occupazione femminile non si risolve con le decontribuzioni. Quando sono state applicate spesso hanno portato sì un aumento dell’occupazione, ma in settori molto marginali, dove ti tengono al lavoro perché di fatto non gli costi niente. Il governo continua a insistere che l’occupazione aumenta, ma il problema non è questo. Dobbiamo puntare su formazione, lavori di qualità, e retribuzioni adeguate anche nei settori dove spesso le aziende non vogliono riconoscerle.

La possibile cancellazione di Decontribuzione Sud quindi vi preoccupa?

Sì, e il motivo è che non si tratta solo della cancellazione di un provvedimento. Si unisce a interventi che allarmano in generale, sul Sud.

Quali?

C’è ad esempio l’accentramento delle Zone economiche speciali in un’unica Zes. Il credito di imposta per gli investimenti, che era stato un po’ il volano per gli investimenti al Sud, è stato confermato (a fatica, aggiungo) per un anno solo, ma poi non si è ancora capito come lo si può utilizzare, quindi sembra che sia tutto fermo. C’è la difficoltà che abbiamo in Parlamento a ottenere dati aggiornati per assicurarci che almeno il 40% delle risorse del Pnrr siano destinate al Sud, come previsto.

C’è l’utilizzo del Fondo sviluppo e coesione, che dovrebbe essere destinato per l’80% al Sud ed è invece stato ‘prestato’ – con l’ultimo decreto Pnrr – per finanziare altri programmi del Pnrr che non rispettano quella percentuale. E poi naturalmente c’è l’autonomia differenziata, che interviene su una situazione in cui non è stata per niente affrontato il tema della perequazione strutturale e dei servizi. È tutto un quadro che fa pensare a un Sud abbandonato.

Con l’ultimo decreto Coesione, Giorgia Meloni ha rivendicato di aver portato più fondi al Sud mentre invece ne tagliava. È un approccio che il governo usa spesso?

Si esulta quando in realtà c’è un po’ sempre un rimescolio degli stessi soldi. Anche queste nuove decontribuzioni per alcune categorie vengono da fondi che già esistevano (il Fondo sociale europeo e il fondo Gol del Pnrr), che potrebbero essere meglio usati per favorire l’occupabilità in altri termini. Soprattutto con la formazione, per colmare quel gap di competenze che sta diventando un problema serio per molti lavoratori.

Elly Schlein ha annunciato che firmerà i referendum della Cgil, e apparentemente ha spaccato il Pd. Come valuta la consultazione?

Siamo di fronte a un’iniziativa del più grande sindacato italiano che pone temi come la disciplina dei licenziamenti, il lavoro a termine e quindi la precarietà, le tutele dei lavoratori. Sono temi su cui anche noi siamo attivamente impegnati. Rispettiamo l’autonomia di questa iniziativa, cioè non è un’iniziativa del Pd o a cui il Pd come tale deve aderire. Questo spiega il fatto che ci saranno persone del Pd che la firmeranno e altre che non lo faranno.

Lei lo firmerà?

Personalmente penso che sia giusto firmare perché il dibattito su questi referendum attiverà un confronto su temi che sono molto, molto importanti. Dopodiché, ora la nostra segretaria – ma anche ciascuno di noi – è posta davanti a una scelta binaria: o sì o no. Ma non è detto che si debba arrivare un referendum. Come parlamentare, sento di dire che c’è spazio per interventi anche più organici rispetto a uno strumento puramente abrogativo. Però che si parli di questi temi è assolutamente fondamentale nel nostro Paese.

In chiusura, ieri a Casteldaccia (Palermo) sono morti cinque operai, lavorando in un ambiente in cui i gas tossici erano ben sopra la norma. Dal governo servono politiche diverse in materia di sicurezza sul lavoro?

Il limite più grosso del governo è non volere vedere la connessione fra sicurezza, precarietà del lavoro e compressione dei salari e delle tutele legate alla catena degli appalti e subappalti. Bisogna eliminare i falsi appalti,  nei quali l’appaltatore svolge un ruolo di mera intermediazione di manodopera limitandosi ad organizzarla tramite caporali. E bisogna bonificare il mercato del lavoro,  eliminando l’abuso di contratti  precari. Ma governo e maggioranza continuano a proporre norme per liberalizzarne l’uso. Ci vogliono controlli effettivi e sanzioni credibili. Poi molta formazione, specifica per il lavoro che si deve effettuare, e investimenti nelle nuove tecnologie a favore della sicurezza.



 

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