Paolo Vitelli, la storia dell’uomo che ha saputo conquistare il mondo

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E’ morto a 77 anni in uno dei luoghi di montagna che amava come le sue barche, Paolo Vitelli, l’uomo che da una famiglia di industriali del tessile si era inventato imprenditore della nautica e così aveva conquistato il mondo.

Ci andava più spesso, ultimamente a Champoluc, per poi salire a Mascognaz, da quando aveva passato l’onere della presidenza – ma lui restava il fondatore, consigliere e azionista – del colosso della nautica Azimut/Benetti alla figlia Giovanna. Figlia rimasta a lungo all’oscuro della terribile notizia, mentre tutti i siti la diffondevano, perché era a bordo di un aereo diretto all’estero. L’azienda ha cercato di avvisarla in volo, per impedirle lo choc che l’avrebbe travolta una volta riattivato il cellulare.

La sua seconda passione

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In Valle d’Ayas, in Val d’Aosta, Vitelli aveva coltivato la sua ulteriore e forse più grande passione, quella per la montagna, che riversava sulle case che acquistava, ripensava, arredava. E sulla hôtellerie di lusso, d’alta montagna s’intende, un settore quest’ultimo che aveva affrontato con il piglio dell’imprenditore e del collezionista. Aveva comprato e rivenduto un hotel a Champoluc, poi aveva rilanciato il Grand Hotel Des Alpes a Chamonix, quindi l’Hotellerie de Mascognaz, un quattro stelle incredibile incastonato a 1.800 metri di altitudine, ricavato in undici chalet Walser che guardano il Monte Rosa, ciascuno ristrutturato con pazienza sotto la sua supervisione. Borgo dove ne aveva tenuto uno anche per sé.

Da Torino alla Val d’Ayas

Vitelli andava e tornava anche in giornata da Torino in Val d’Ayas. Spesso con l’autista, del quale aveva quasi timore di parlarne come di un vezzo, perché per lui era in realtà una necessità. “Ho la schiena rovinata perché ho fatto 65 mila km l’anno in auto per 60 anni”, spiegava. Magari si metteva in viaggio per incontrare un nuovo cuoco di Mascognaz, valutarlo, incoraggiarlo.

A Champoluc, teatro delle sue vacanze di bambino, aveva un suo chalet, che dalla piazza del paese si raggiunge inerpicandosi lungo la strada che sale al bosco. Non di rado, lo si poteva vedere spalare la neve personalmente, se così abbondante da sommergere il vialetto.

In quota, c’è poi Mascognaz, il suo capolavoro. Lo curava, migliorava, lo viveva. Qui erano spesso ospiti Nicolas Sarkozy e Carla Bruni, che scendevano nello chalet presidenziale, ampissimo e con un secondo letto matrimoniale al piano rialzato, protetti da una riservatezza maniacale. Un sistema di ospitalità diffusa davvero unico, con ristorante, Spa, guida alpina dedicata, ma senza una concessione al fuori luogo.

Da broker a costruttore

Nessuna concessione al fuori luogo nemmeno sul mare. Sobrio, grande lavoratore, pochi fronzoli, la frase di Maurizio Sella come motto: “Azienda ricca, famiglia povera”. “Se guadagni – diceva – devi lasciare i soldi in azienda per farla crescere e non contaminare il Dna della famiglia con più denaro perché così rimane sana e con valori.

Era già una famiglia di industriali, la sua. Da due generazioni. “Ma io ho deciso però di mettermi alla prova con una start-up. Ho voluto vivere il gusto di partire da zero. Il mio obiettivo non era diventare ricco, ma primo, il più bravo, il più innovatore”, diceva.

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Nel 1969 fonda Azimut con un amico (che poi si sfilerà) e le rispettive madri. Lui stesso raccontava di aver impiegato come parte di capitale le 500.000 lire ricavate dalla vendita di un night club che aveva aperto con alcuni amici nel capoluogo piemontese. Comincia noleggiando barche a vela, attività cui aggiunge la vendita dell’usato e, successivamente, dell’importazione di marchi come l’olandese Amerglass e gli inglesi Powles, Aquafibre, Halmatic, West Marine, Camper & Nicholson. E ancora, diventerà rappresentante della svizzera Aloa, della norvegese Draco e dei francesi Bénéteau.

Il passaggio da broker a costruttore in proprio avviene nei primi anni Settanta, quando porta al Salone di Genova il Tarquin 60, realizzato in Inghilterra con l’ex pilota di rally Tony Chappell e i progettisti Bernard Olesinski e Terence Terry Disdale. La barca piace e Vitelli non si ferma. In joint-venture con Amerglass (la prima denominazione è Amerglass Italia, ma da lì a poco diventa Az Spa e poi Azimut Spa) realizza un motor cruiser di 43 piedi, l’Az 43 Bali, che fa da capostipite alla cifra del cantiere: nuovi materiali, in questo caso la vetroresina; designer internazionali, Olesinski; ricorso a sub-appaltatori, produzione in serie.

“A Torino ti davano del matto”

Un inizio comunque in salita. Anche per un benestante come lui. “Mai attinto da credito e fondi di famiglia, mai collegato i beni ereditati con la sfida che volevo intraprendere. Non era però facile allora ricevere credito dalle banche. Mi chiedevano garanzie che non avevo o potevo dare. Occuparsi di nautica negli Anni Settanta in Italia, del resto, e più ancora nel sistema torinese, molto conservatore, non era una cosa normale. Anzi, era decisamente considerata da matti”.

Lui, però, non si ferma. Nel 1977 arriva l’Az 32 Targa, quindi l’Az 35 e l’Az 37, questi ultimi dotati di flying bridge e disegnati da John Bennet. I modelli si moltiplicano, vanno dall’Az 25 all’Az 66, con l’exploit fuori scala nel 1982 del Failaka, 31 metri in vetroresina leggerissima, 32 nodi di velocità, le matite di Ugo Costaguta e Terence Terry Disdale. Lo acquistano il principe del Kuwait, la famiglia Onassis e Orin Edson, il fondatore dei cantieri Bayliner. L’impero si consolida. Vitelli sbarca negli Usa con l’aiuto della Allied Marine di Winthrop Rockefeller, apre centri di vendita in Francia, in Olanda, stringe contatti commerciali a Hong Kong, Taiwan, Giappone. Instancabile. “Mi piace essere riconosciuto come un torinese che gira il mondo con la valigetta e va ad aprire nuovi mercati”, spiegava. Aggiungendo: “Ho sempre avuto tanta energia a disposizione”.

Aumenta la produzione delle barche più grandi a Viareggio – in subappalto ai consorzi Unioncraft e Versilmarina – e delle più piccole ad Avigliana; inizia anche quella dei nuovi Benetti (il primo 45 metri lo acquista il kuwaitiano Fouad Alghanim, che è stato il fautore anche della costruzione del Failaka 105). E si lascia tentare dalla sfida atlantica del Blue Riband.

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I Benetti a Viareggio navigavano in cattive acque. Avevano subito la perdita legata al varo del Nabila – il primo megayacht ad incantare il mondo -, avevano accumulato debiti, era finito nelle secche del concordato. Vitelli, che era già a Viareggio con Azimut, si fa avanti per rilevare il cantiere. “Erano stati i miei colleghi, fornitori e competitor, a spingermi per propormi come pretendente di Benetti. Erano stati loro a dirmi ‘vai e fai, perché sei l’uomo giusto’”. Vitelli incontra i dirigenti, trova l’intesa, poi si presenta dal giudice che curava il fallimento con tutti i suoi risparmi. “Avevo messo i Bot cartacei sulla scrivania dicendogli ‘Questi sono i proventi della mia passione’”, raccontava. Ed era stato covincente. Nel 1985 raccoglie l’eredità dei Benetti e la rilancia.

Il record tentato, passeggero Rockefeller

È il 1988. Vitelli prova la traversata atlantica del record – quella appartenuto anche al Rex – insieme con l’americano Tom Gentry, mettendo in acqua Atlantic Challenger, che “rompe” dopo circa 1.600 miglia per colpa di un bilanciere di un motore. L’Atlantic Challenger è una sorta di grande serbatoio galleggiante costruito dai Benetti, spinto da quattro motori da 1850 cavalli l’uno, un invertitore per coppa di motori e due idrogetti Riva Calzoni. Lo skipper è Cesare Florio, il presidente del comitato organizzatore Giovanni Agnelli, passeggero pagante (un dollaro) richiesto dal regolamento è Winthrop Rockefeller.

La crescita degli Anni Novanta

Nel nuovo decennio la nautica cambia. Contano le innovazioni tecnologiche e di processo, le divisioni di Ricerca & Sviluppo e di Engineering, uno stile sempre più distintivo del made in Italy, così da incontrare il gusto dei nuovi ricchi, persone che con l’abbattimento delle frontiere e con l’avvento della finanza globale accumulano fortune in fretta. L’export rappresenta la via dell’oro.

Vitelli vara in questi anni l’Azimut 43 disegnato da Valeriano Barbero; un 42 piedi a vela e un 60 piedi a motore, entrambi progettati da Sergio Pininfarina. Ancora, l’Azimut 96 Starlight con sovrastrutture scaturite dalla matita di Terry Disdale, le prime rotondeggianti. E quindi, un 54 piedi e l’Az40, l’Az43 e l’Az46, caratterizzati dalle intuizioni dell’architetto Stefano Righini, che introduce dei tratti che faranno scuola: ad esempio, le curve nella forma della tuga e le finestrature tagliate a ricalcare le sinuosità delle le onde e i pesci.

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Il gruppo introduce un sistema di processo basato su una modularità industriale che vede ogni barca come una base costruttiva standard, alla quale sono applicati elementi che la personalizzano. Si passa insomma dal modello custom che ha caratterizzato per anni la fascia delle imbarcazioni di medie dimensioni, a un vero prodotto industriale.

Il primo aumento di capitale

Ma Paolo Vitelli non si ferma qui. Nella decade ricorre a un aumento di capitale, cedendo il 25% delle quote a un suo cliente cinese, Ambrous Young, quote che poi riacquista alla fine dei Novanta, in condivisione con il suo braccio destro Massimo Perotti e con la banca San Paolo – cui va il 12%. Stringe anche alleanze, in Giappone con Yamaha, negli Usa con Sea Ray; infine sbarca in Sudamerica, con con- cessionari in Messico e Venezuela e – nel 1995 – con una licenza per produrre direttamente in Brasile. Ingrandisce anche la sua superficie produttiva in Italia. Vitelli acquisisce nuove aree ad Avigliana, dove imposta un nuovo cantiere; si estende a Fano con l’acquisto degli scali di Moschini e – ma siamo già nei Duemila – si amplia a Viareggio acquisendo Lusben e parte dei Sec, e comprando a Livorno il cantiere Orlando, dove poi trasferisce Benetti; sbarca a Savona, dove stabilirà il suo centro di sbocco a mare per gli yacht costruiti ad Avigliana. Nello shopping del nuovo Millennio rientra infine anche il marchio Gobbi, con stabilimento nel Piacentino, che produce barche fra i 4 e i 9 metri di lunghezza, che poi successivamente dismetterà.

Dalle barche ai porti

Il fondatore di quello che è ormai un colosso (raggiunge i 100 miliardi di lire di fatturato a metà anni Novanta) implementa anche una rete di centri di servizio e di assistenza post-vendita al cliente e di marina. Non sarà semplice, causa burocrazia. Il Marina di Varazze è il primo: la concessione preliminare risale agli anni Settanta, il primo progetto è del 1975 (presentato ancora dai Baglietto), ne serviranno altri sette prima di ottenere la concessione e avviare i lavori nel 2003. E poi, Varazze, Malta, Mosca e Livorno.

I primati e le sirene inascoltate

Il gruppo Azimut/Benetti nel nuovo Millennio di trasforma, ingrandisce, macina fatturati e primati. Quest’anno ha conquistato per il 25° consecutivo – cinque lustri sono un’eternità nella nautica moderna – il primato del primo produttore al mondo di superyacht (sopra i 24 metri di lunghezza), che riconosce il magazine Boat International con il Global Order sulla base dei dati di 185 cantieri in 5 continenti, per il 25° anno consecutivo. E che Vitelli aveva festeggiato insieme alla leadership quale prima azienda nautica privata familiare del mondo.

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Il gruppo si consolida, si trasforma. Il fondatore lascia il ponte di comando alla figlia, cambia il sistema di controllo di un’azienda. “Fino a 15 anni fa decidevo tutto io. Giovanna oggi è un presidente che indica le strategie condivise con il consiglio di amministrazione e che poi esercita il controllo. La cosiddetta governance è essenziale, mentre io fino a 60 anni non sapevo cosa fosse”, diceva il fondatore. I conti, sono ormai quelli di un gruppo che ha le dimensioni di un colosso. L’ultimo esercizio, chiuso il 31 agosto 2024, indica ricavi per 1.3 miliardi di euro.

Vitelli non ascolta le sirene della Borsa, ma è tentato da quella della cessione. Succede dopo che Massimo Perotti esce dall’azienda (Perotti era responsabile della divisione Azimut, lasciata per intraprendere la sfida di Sanlorenzo, di cui oggi è presidente, ndr). Decisivo un confronto con Giovanna, allora avvocato di un importante studio legale (Bonelli Erede) a Milano. La laurea in Giurisprudenza a Torino, Erasmus in Germania, la figlia di Paolo si occupava di operazioni societarie ed è destinata ad uno dei principali studi legali di New York. Arriva un’offerta di acquisto per Azimut/Benetti e lei ci ripensa. “Ho pensato: be’, vendere, un momento – racconterà Giovanna -. Facevo già parte del consiglio di amministrazione da quando avevo 21 anni, ma non mi occupavo operativamente dell’azienda. Però, l’avevo nel cuore, era l’impresa di famiglia. Così, ho parlato a mio padre, dicendomi disponibile a provare e insieme abbiamo individuato un possibile percorso. Era il 2004, debutta con i porticcioli, poi si occupa dell’area affari legali e successivamente della comunicazione del gruppo. Nei primi mesi del 2023 c’è stata la sua prima uscita da presidente.

Tanti successi, tante sfide

Il fondatore di Azimut/Benetti era laureato in Economia e Commercio, ma poteva vantare anche una laurea honoris causa del Politecnico di Torino in Ingegneria meccanica (2004). Era stato console generale della Norvegia, deputato con la Lista Scelta Civica di Mario Monti. “Avevo accettato di entrare in politica perché ero stanco di criticare senza impegnarmi per un cambiamento…”, aveva scritto, nella lettera in cui aveva preso le distanze poi dalla politica. “Ho visto come anche esponenti della società civile, una volta in Parlamento, tendono a dedicare più tempo ai meri giochi di potere che non a lavorare per il bene del paese – aveva ancora spiegato -. Per cui il dibattito, invece di focalizzarsi sui contenuti, troppo spesso si concentra su come occupare poltrone o posti di potere!”.

Uomo delle istituzioni, Vitelli era stato presidente di Ucina, oggi Confindustria nautica, dal 1998 al 2006, contribuendo al rilancio del settore anche sotto il profilo delle riforme e di nuovi strumenti come il leasing nautico italiano.

Più di recente, si aspettava ancora nuove sfide. Quella delle sue passioni trasformate in impresa, hôtellerie di alta montagna e porti appunto, ma anche della sua creatura, l’azienda che da start-up aveva fatto diventare un colosso e che aveva affidato alla guida della figlia, lasciandole in dote anche l’intesa con il fondo arabo PIF, entrato nel capitale al 33%. E il ruolo di stella. Per questo aveva ridotto le interviste, gli incontri pubblici (“Non voglio fare ombra a Giovanna. E’ lei, ora, la presidente”). Ovviamente, c’era sempre per lei, intesa come azienda, ma soprattutto come figlia e sua delfina. Aveva voluto che avesse lo chalet vicino al suo, a Champoluc, come ulteriore atto d’amore.

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