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diAlessia Colaianni
Sono poco più di 8 mila quelli che ancora sopravvivono in natura, nelle diverse sottospecie. Il paradosso del turismo: porta risorse per la sopravvivenza dei territori ma aumenta i rischi di infezioni letali
Era il 24 settembre 1967 quando Dian Fossey fondò il Karisoke Research Center e si dedicò alla ricerca sui gorilla di montagna, che allora erano poco conosciuti e gravemente minacciati. La primatologa, la cui storia è stata raccontata nella pellicola del 1988, Gorilla nella nebbia, è stata fondamentale per la conoscenza e la conservazione di questi animali e il suo lavoro è un’eredità preziosa che ha permesso di continuare a studiare e proteggere tutte le specie di gorilla. Questo è il motivo per cui, dal 2017, il 24 settembre si celebra la Giornata Mondiale del Gorilla.
Ma attenzione: si fa presto a dire “gorilla”. Esistono quattro sottospecie di gorilla che rientrano in due specie: il gorilla orientale (Gorilla beringei) con le due sottospecie gorilla di pianura orientale (Gorilla beringei graueri, con una popolazione di circa 6800 individui) e gorilla di montagna (Gorilla beringei beringei, di cui si contano 1000 esemplari); il gorilla occidentale (Gorilla gorilla), le cui sottospecie sono gorilla del Cross River (Gorilla gorilla diehli, con una popolazione inferiore a 300 individui) e il gorilla di pianura occidentale (Gorilla gorilla gorilla, con 300.000 esemplari rimanenti). Tutte le sottospecie vivono in Africa e sono presenti nella lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), tutte segnalate in pericolo critico all’interno della «red list», tranne il gorilla di montagna, considerato “soltanto” in pericolo.
Negli ultimi decenni, nonostante l’impegno di scienziate, scienziati, ong e misure come la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites), i gorilla sono ancora a rischio di estinzione. Quali sono le minacce che incombono su questi animali attualmente? Liz Williamson, Red List Authority Coordinator dell’Iucn, con quarant’anni di esperienza nella ricerca e nella conservazione delle grandi scimmie, descrive una situazione dalle diverse sfaccettature: «La maggior parte dei gorilla sono gorilla di pianura occidentale e sono minacciati dal bracconaggio per la bushmeat — così viene chiamata la carne di animali selvatici [n.d.A.] —dalle malattie e dalla perdita e degrado del loro habitat». La caccia per le loro carni, sebbene illegale, e i problemi che affliggono gli habitat sono una minaccia anche per i gorilla di pianura orientale.
«A mettere a rischio i gorilla di montagna sono invece le malattie di origine umana e le trappole tese per altri animali. — prosegue Williamson — Inoltre, i cambiamenti climatici sono un pericolo incombente per tutte le sottospecie». Uno studio del 2021 sui possibili spostamenti di areale delle grandi scimmie in Africa legati ai cambiamenti climatici ha, infatti, previsto un possibile massiccio declino dei territori disponibili per questi animali entro il 2050.
Chi ha visto il film Gorilla nella nebbia probabilmente ricorderà che un forte impatto sulla conservazione di questi primati è esercitato dalle comunità locali, soprattutto a causa della povertà che le obbliga a rendersi complici di bracconaggio e traffici illegali. Tuttavia, l’attuale rapporto tra popolazioni umane e di gorilla sembra essere finalmente cambiato. «In generale, l’atteggiamento delle comunità locali nei confronti della conservazione dei gorilla è migliorato notevolmente, grazie ai numerosi progetti avviati con finanziamenti da parte delle ONG e del turismo — spiega Williamson —. In Ruanda e Uganda, i governi assegnano una percentuale fissa delle entrate turistiche alle comunità del luogo per progetti di sviluppo (ad esempio scuole e cliniche). Nella Repubblica Democratica del Congo, la Virunga Alliance realizza progetti su larga scala che forniscono energia elettrica a villaggi, paesi e alla città di Goma. Il Virunga National Park sostiene anche l’economia locale con altre modalità».
I gorilla sono parte fondamentale di quella fauna carismatica che spinge ogni anno i turisti a visitare l’Africa. Si parla spesso di turismo etico e consapevole, ma ci domandiamo quanto l’ago della bilancia sia effettivamente spostato sulla salvaguardia degli animali. Liz Williamson dà chiare indicazioni: «Il turismo è un’arma a doppio taglio. Quasi tutto il turismo sui gorilla è legato ai gorilla di montagna e, senza le entrate che genera, avremmo perso molto più habitat e più esemplari. Tuttavia, il turismo aumenta i rischi di trasmissione di malattie, poiché gli esseri umani trasportano agenti patogeni e parassiti infettivi. Proprio le infezioni respiratorie, alcune di origine umana, sono una delle principali cause di morte nei gorilla di montagna. È molto importante che vengano implementate regole severe per proteggere questi primati dalle malattie di origine umana».
La salvaguardia dei gorilla ha un’altra faccia della medaglia, quella che viene chiamata conservazione ex-situ, ossia una strategia di conservazione delle specie più a rischio in un ambiente artificiale (ex-situ), come i giardini zoologici. L’Eaza, European Association of Zoos and Aquaria, l’associazione europea che riunisce zoo e acquari, si occupa da anni di programmi ex-situ, regolati da specifici protocolli e condotti da gruppi di specialisti, che gestiscono popolazioni resilienti e geneticamente diverse di individui sani, contribuendo alla conservazione della loro specie e assicurandosi di garantire il benessere degli esemplari coinvolti.
Tjerk ter Meulen, attuale coordinatore dei programmi ex-situ dell’Eaza per i gorilla di pianura occidentale, descrive i principali obiettivi di questo progetto: «Il gorilla di pianura occidentale (Gorilla gorilla gorilla) è in grave pericolo di estinzione, ma il suo stato in-situ è migliore rispetto a quello delle (sotto)specie strettamente imparentate. La popolazione dell’EEP è composta da 459 individui (217 maschi, 242 femmine) che vivono in 77 istituzioni. Il ruolo principale del programma è l’educazione alla conservazione, ma altri obiettivi sono l’advocacy, la raccolta fondi, la ricerca e il mantenimento di una popolazione sufficiente per evitare l’estinzione della specie. L’EEP mira anche ad aiutare gli zoo di altre regioni del mondo a creare una popolazione di gorilla di pianura occidentale, a condizione che le istituzioni seguano le linee guida sulle buone pratiche e altri prerequisiti definiti dal programma. È richiesto anche un impegno per la sensibilizzazione e una più ampia educazione scientifica del pubblico. Un ulteriore vantaggio è quello di ridurre il peso di eventuali catastrofi (ad esempio, una pandemia che colpisce i gorilla) grazie alla presenza di una popolazione di sicurezza. Infine, c’è la mitigazione del traffico illegale di questa specie in alcuni paesi».
Il programma ex-situ dell’Eaza è generalmente disposto a contribuire a progetti di reintroduzione che rispettino le Linee guida per la reintroduzione dell’Iucn. Secondo i dati a disposizione, allo stato attuale, non sarebbe necessario reintrodurre i gorilla di pianura occidentale nel loro habitat naturale, pertanto gli sforzi dell’EEP sono rivolti verso attività di conservazione come la protezione dell’habitat, l’educazione e la lotta al commercio illegale di grandi scimmie. Gli zoo dell’Eaza, quindi, sostengono progetti di conservazione in-situ dei gorilla in Africa con finanziamenti e competenze.
Se nei prossimi anni le popolazioni in natura dovessero ridursi, allora i gorilla che in questo momento vivono all’interno dei giardini zoologici che collaborano con l’Eaza e partecipano all’EEP adempirebbero al loro ruolo di serbatoio di biodiversità. «È chiaro che la ricostruzione delle popolazioni selvatiche o il rafforzamento di quelle esistenti è una questione molto complicata, che richiederebbe la partecipazione di molti attori per garantire le migliori possibilità di successo. Nel 2018 due animali dell’EEP sono stati inviati in Gabon. Purtroppo, uno di loro è morto poco dopo il suo arrivo. Risultati migliori sono stati ottenuti con il rilascio dei gorilla dai centri di recupero. — conclude Tjerk ter Meulen — Qualsiasi esperienza di reintroduzione rappresenta una grande sfida, ancora di più quando viene effettuata con una specie socialmente complessa e longeva come lo sono i gorilla».
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