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All’esito di un sinistro stradale, la vittima chiede il risarcimento alla compagnia assicurativa, la quale ritarda oltremisura il pagamento. In sede di merito, i giudici ritengono che l’assicuratore non sia in mora e, quindi, non ne subisca gli effetti. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza del 14 febbraio 2022 n. 4668 (testo in calce), ribalta il decisum e, mercé un iter argomentativo lineare e perspicuo, enuncia alcuni principi di diritto in materia. Innanzitutto, l’assicuratore della r.c.a., che ritardi il pagamento del risarcimento a favore della vittima di un incidente stradale, è in mora al pari di qualsiasi altro debitore. In particolare, la mora scatta una volta decorso il termine di 60 o 90 giorni stabilito dall’art. 148 Cod. Ass. Infatti, esauritosi lo spatium deliberandi, la mora si presume e spetta al debitore l’onere di provare la non imputabilità del ritardo. L’assicuratore, quando la mora gli sia imputabile, deve:

  • pagare gli stessi interessi compensativi dovuti dal responsabile (ex art. 1219 c.c.) calcolati al saggio e sul montante stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. 1712/1995), se il debito è inferiore al massimale;
  • pagare gli interessi di mora sul massimale stesso (ex art. 1224 c.c.), se il debito è superiore al massimale.

L’assicuratore della r.c.a. può evitare gli effetti della mora dimostrando che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile (ex art. 1218 c.c.), oppure a) attraverso l’offerta reale o secondo gli usi; b) o attraverso il deposito liberatorio (art. 140 Cod. Ass.). Infine, secondo gli ermellini, la mora dell’assicuratore non è esclusa dal fatto che questi abbia ritardato il pagamento per via della difficoltosa ricostruzione della dinamica del sinistro, o per la mancanza di prova in ordine ad alcune delle voci di danno richieste dalla vittima o, ancora, per l’intervento di assicuratori sociali.

La vicenda

In seguito allo scontro tra due veicoli, uno dei conducenti riportava la frattura di due vertebre ed era colpito da tetraplegia. Il danneggiato, unitamente alla moglie e ai figli, conveniva in giudizio il conducente del veicolo antagonista e la sua compagnia assicuratrice. L’assicurazione eccepiva l’incapienza del massimale, dal momento che nel sinistro erano stati feriti i tre passeggeri a bordo del mezzo assicurato e l’INPS aveva manifestato la volontà di surrogarsi.

Il tribunale accoglieva la domanda attorea e stimava il danno patito dagli attori in circa 2 milioni di euro, al netto del concorso di colpa del 30% attribuito alla vittima e degli acconti già versati. Il giudice di merito condannava l’assicurazione al pagamento della rivalutazione, degli interessi e delle spese di giudizio oltre il limite del massimale a causa del colpevole ritardo nel pagamento. Infatti, la compagnia aveva corrisposto la provvisionale prevista in sede penale (60 mila euro) due mesi dopo la condanna; dopo ulteriori sei mesi, aveva versato un acconto (160 mila euro), infine, ad un anno di distanza era stato corrisposto un terzo acconto (300 mila euro).

L’assicurazione appellava la pronuncia e, in sede di gravame, i giudici ritenevano insussistente la mora colpevole dell’assicuratore, riducevano l’importo delle spese del giudizio di primo grado e compensavano per un terzo quelle d’appello. Si giunge così in Cassazione.

Le doglianze del danneggiato

Il danneggiato formula diversi motivi di ricorso in cui contesta la sentenza gravata per non aver considerato colposa la mora dell’assicuratore. Secondo il ricorrente, il ritardo dell’assicurazione è imputabile a ques’ultima, infatti, essa non ha provveduto al pagamento nonostante, al momento dell’introduzione del primo grado di giudizio, fosse edotta del fatto che la vittima era affetta da tetraplegia.

Com’è noto, tale patologia comporta un’invalidità permanente non inferiore al 95% e il danno biologico, in base alle tabelle del Tribunale di Milano, ammonta a circa 800.000 euro; mentre il massimale assicurato era di soli 770.000 euro. Il ricorrente si duole, altresì, del fatto che la sentenza gravata abbia giustificato il ritardo perché il danno patrimoniale sofferto dalla vittima appariva incerto e perché il danneggiato non aveva allegato le dichiarazioni dei redditi, benché avesse prodotto le buste paga. Infine, il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 1916 c.c. nella parte in cui la sentenza gravata giustifica la mora per il fatto che l’INPS abbia manifestato la volontà di surrogarsi per gli importi pagati alla vittima a titolo di pensione di inabilità.

La Suprema Corte considera fondate le doglianze, in quanto la pronuncia impugnata presenta numerosi errori di diritto.

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Gli effetti della mora debendi dell’assicuratore r.c.a.

L’assicuratore r.c.a. è debitore nei confronti del terzo danneggiato (art. 144 Cod. Ass.), si tratta di un’obbligazione risarcitoria che deve essere adempiuta nel termine di 90 giorni (nel caso di morte o lesioni personali) decorrenti dalla richiesta per iscritto formulata dalla vittima (art. 148 c. 2 Cod. Ass.). Decorso tale termine, l’assicuratore inadempiente subisce gli effetti della mora, salvo il caso in cui dimostri di non aver potuto adempiere per una causa a lui non imputabile (Cass. 28811/2019; Cass. 1083/2011).

Gli ermellini ricordano i presupposti e gli effetti della mora debendi dell’assicuratore r.c.a. nei confronti della vittima di un sinistro stradale. La mora può avere conseguenze diverse a seconda che il massimale assicurato sia capiente o incapiente. Infatti, in caso di colpevole ritardo nella corresponsione del risarcimento, l’assicuratore deve:

  • pagare gli stessi interessi compensativi dovuti dal responsabile (ex art. 1219 c.c.) calcolati al saggio e sul montante stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. 1712/1995), se il debito è inferiore al massimale;
  • pagare gli interessi di mora sul massimale stesso (ex art. 1224 c.c.), se il debito è superiore al massimale.

Sintetizzando, si può anche affermare che la mora del debitore comporta come conseguenze:

  • il pagamento degli interessi compensativi, in caso di debito di valore;
  • il pagamento degli interessi moratori (art. 1224 c. 1 c.c.), in caso di debito di valuta;
  • il risarcimento del maggior danno ove dimostrato (art. 1224 c. 2 c.c.).

Di seguito, analizziamo le prime due fattispecie.

Massimale capiente e obbligazione di valore

Innanzitutto, giova premettere che «l’obbligazione dell’assicuratore della r.c.a., la quale è una obbligazione di valuta, fino a quando non supera il massimale “si comporta” come una obbligazione di valore per quanto attiene le conseguenze della mora» (Cass. 28811/2019). Per completezza espositiva, si ricorda che:

  • le obbligazioni di valuta hanno ad oggetto, sin dall’origine, una somma di denaro,
  • le obbligazioni di valore, originariamente, hanno ad oggetto una prestazione diversa dalla dazione di denaro e sono sottratte al principio nominalistico (l’esempio scolastico è l’obbligazione risarcitoria in capo al danneggiante a favore della vittima del sinistro). La liquidazione dell’obbligazione di valore passa attraverso la quantificazione (aestimatio), la rivalutazione (taxatio) e la liquidazione dell’ulteriore danno da ritardo (interessi compensativi). Dopo la liquidazione, il debito di valore si trasforma in debito di valuta.

Se il massimale è capiente rispetto all’entità del danno cagionato alla vittima da parte dell’assicurato, la mora dell’assicuratore resta assorbita da quella dell’assicurato, quindi, è giuridicamente irrilevante. L’assicurato, autore del fatto illecito, è tenuto al pagamento degli interessi compensativi di mora – ossia gli interessi che compensano il mancato tempestivo ottenimento del risarcimento del danno – i quali costituiscono una delle voci del risarcimento spettante al terzo.
Si ricorda che gli interessi compensativi hanno lo scopo di non privare il creditore del diritto agli interessi nel caso di illiquidità del credito di valore (che impedisce la decorrenza degli interessi corrispettivi).
L’assicuratore deve corrispondere alla vittima lo stesso risarcimento del danno che pagherebbe l’assicurato, quindi, comprensivo di capitale e interessi compensativi. Questi ultimi sono dovuti dall’assicurato al danneggiato (ex art. 1219 c. 2 n. 1 c.c.) e, quindi, l’assicuratore è tenuto al loro pagamento. La modalità di calcolo degli interessi compensativi è quella prevista dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. SS.UU. 1712/1995), vale a dire «un tasso equitativamente scelto dal giudice in considerazione delle peculiarità del caso, applicato sulla semisomma tra credito espresso in moneta dell’epoca dell’illecito, e credito rivalutato all’epoca della decisione».

Massimale incapiente e obbligazione di valuta

Qualora il danno provocato dall’assicurato ecceda il massimale, l’obbligazione dell’assicuratore nei confronti del terzo danneggiato ha per oggetto l’intero massimale, che è una somma certa, liquida ed esigibile, pertanto, si tratta di un’obbligazione di valuta. Gli effetti della mora, in tale circostanza, consistono nel pagamento degli interessi moratori e nel maggior danno ove dimostrato (art. 1224 c.c.).

Quindi, se l’assicuratore è tenuto al pagamento dell’intero massimale e non adempie nel termine di legge (in questo caso, 90 giorni), le conseguenze della mora non restano contenute nel limite del massimale.

Per quale ragione?

Semplicemente perché il massimale rappresenta il limite della garanzia per fatto altrui. Se l’assicuratore deve versare l’intero massimale alla vittima e non adempie nei termini prescritti, tale ritardo è imputabile all’assicuratore e non all’assicurato. In altre parole, l’assicuratore in mora nel pagamento dell’intero massimale è tenuto a sopportare gli effetti della mora senza limiti (ossia oltre il massimale), dal momento che le conseguenze del ritardo non derivano dal fatto illecito dell’assicurato ma dall’inadempimento dell’assicuratore (Cass. 22054/2017; Cass. 2525/1998; Cass. 6356/1980).

L’assicuratore che ritardi nel pagamento dell’intero massimale si espone alle stesse conseguenze che subisce un debitore inadempiente ad un’obbligazione di valuta:

  • il pagamento degli interessi di mora al saggio legale (art. 1224 c. 1 c.c.),
  • il risarcimento del maggior danno (art. 1224 c. 2 c.c.) qualora il creditore ne faccia richiesta e ne offra dimostrazione.

In relazione al cosiddetto “maggior danno” «può essere ritenuto sussistente in via presuntiva dal giudice, salvo prova contraria da parte del debitore, in tutti i casi in cui nel tempo della mora il saggio di rendimento medio dei BOT di durata annuale sia stato superiore al saggio legale medio degli interessi, così come statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte nel comporre i precedenti contrasti sull’interpretazione dell’art. 1224 c.c., comma 2» (Cass. SS.UU. 19499/2008).

Mora e “mala gestio impropria” sono due concetti non coincidenti

La mora dell’assicuratore spesso viene qualificata come “mala gestio impropria”, in realtà, tale dizione non è corretta. Infatti, la cattiva gestione degli interessi altrui può avvenire solo all’interno del rapporto intercorrente tra assicurato e assicuratore. Pertanto, i concetti di mora e di mala gestio non sono coincidenti:

  • la mora è l’effetto dell’inadempimento di un’obbligazione di dare (come un’obbligazione pecuniaria),
  • la mala gestio è l’inadempimento di un’obbligazione di fare, ossia la cura degli interessi dell’assicurato.

Ciò premesso, un assicuratore che incorra in una cattiva gestione degli interessi dell’assicurato sarà tenuto al pagamento di somme eccedenti il massimale non solo a titolo di interessi ma anche di capitale. Invece, nel rapporto tra assicuratore e danneggiato, l’assicuratore è un debitore (non un gestore di affari altrui o un mandatario), quindi, si applicano le regole della mora debendi, ossia l’obbligo di pagamento di somme eccedenti il massimale a titolo di interessi o maggior danno ex art. 1224 c.c., ma mai a titolo di capitale (Cass. 10725/2003).

L’assicuratore come può liberarsi dagli effetti della mora?

La legge concede all’assicuratore 90 giorni per formulare l’offerta risarcitoria (art. 148 Cod. Ass.), pertanto, il legislatore ha stimato che si tratti di un periodo di tempo sufficiente a stimare il danno e risarcire la vittima. Se il termine viene superato, spetta all’assicuratore dimostrare che la responsabilità non gli sia imputabile (art. 1218 c.c.). L’assenza di colpa deve essere valutata alla luce del criterio della diligenza del professionista (art. 1176 c. 2 c.c.).
L’assicuratore r.c.a. è negligente allorché:

a) «ignori o trascuri di rispettare le norme di legge in base alle quali accertare la responsabilità del proprio assicurato;

b) ignori o trascuri di rispettare le norme giuridiche in base alle quali individuare i danneggiati;

c) ignori o trascuri di rispettare le norme giuridiche in base alle quali accertare e stimare il danno causato dal proprio assicurato».

Alla luce di quanto esposto, emerge come la condotta dell’assicuratore sia stata negligente e come il ritardo nell’adempimento gli sia imputabile. Pertanto, la sentenza gravata ha falsamente applicato gli articoli 1176, 1218 e 1224 c.c. (rispettivamente sulla diligenza nell’adempimento, sulla responsabilità del debitore, sui danni nelle obbligazioni pecuniarie).

Le affermazioni giuridicamente non corrette della sentenza gravata

Dopo aver riassunto i principi generali in materia di effetti della mora del debitore, la Suprema Corte passa ad esaminare la pronuncia gravata e a rilevare come essa si fondi su asserzioni giuridicamente inesatte.

L’incertezza sull’apporto causale della vittima al sinistro non “incide” sulla mora

La Suprema Corte considera non condivisibile l’affermazione contenuta nella sentenza gravata secondo cui la mora dell’assicuratore resta esclusa nel caso di incertezza sull’apporto causale della vittima al sinistro, infatti:

In merito all’ultimo punto, gli ermellini ricordano come il rischio d’impresa incomba sulla compagnia assicurativa e non possa gravare né sull’assicurato né sul danneggiato. Pertanto, assecondare una simile interpretazione significherebbe andare contro la ratio della legislazione in materia di assicurazione che è ispirata alla tutela della vittima e non all’eliminazione del rischio d’impresa (Cass. 1083/2011; C. Cost. 77/1983; C.d.G. UE 30.06.2005, causa C-537/03).

Il diritto alle prestazioni da parte dell’assicuratore sociale non esclude gli effetti della mora

La sentenza gravata esclude la mora anche per il fatto che la vittima non abbia riferito all’assicurazione di avere diritto di prestazioni dall’assicuratore sociale.

La Suprema Corte censura questo passaggio della decisione impugnata.

La circostanza che la vittima abbia (o meno) diritto alle prestazioni da parte dell’assicuratore sociale non esclude gli effetti della mora se l’assicuratore non adempie entro il termine di 90 giorni (ex art. 148 Cod. Ass.). L’assicuratore ha l’onere di domandare alla vittima se vi abbia (o meno) diritto:

  • in caso negativo, deve pagare integralmente il risarcimento,
  • in caso affermativo, ha l’obbligo di accantonare l’importo destinato alla surrogazione dell’assicuratore sociale.

La dichiarazione reticente della vittima è irrilevante sotto il profilo della mora, semmai espone la vittima stessa a responsabilità verso l’assicuratore sociale. Inoltre, se il danneggiato omette di fornire la dichiarazione in merito al diritto di prestazione da parte dell’assicuratore sociale, resta onere della compagnia assicurativa chiederla (ex art. 142 c. 2 Cod. Ass.). Infine, nel caso di specie, «l’unico ente che aveva manifestato la volontà di surrogazione fu l’INPS, non l’INAIL. Ma l’INPS non eroga nessuna indennità destinata a ristorare il danno non patrimoniale agli invalidi civili (L. 12 giugno 1984, n. 222, art. 1 e 2): e poiché nel caso di specie il solo danno non patrimoniale avrebbe verosimilmente assorbito l’intero massimale, nessuna surrogazione sarebbe stata possibile, e nessun onere di accantonamento aveva l’assicuratore».

Conclusioni: i principi di diritto

La Suprema Corte accoglie il ricorso, decide la causa nel merito1 ex art. 384 c. 2 c.p.c. e ed enuncia i seguenti principi di diritto:

«-L’assicuratore della r.c.a. è in mora, nei confronti della vittima, una volta spirato il termine di cui all’art. 148 cod. ass., commi 1 o 2.

-L’assicuratore in mora è tenuto:

a) se il debito è inferiore al massimale al pagamento degli stessi interessi compensativi dovuti dal responsabile ex art. 1219 c.c., calcolati al saggio e sul montante stabiliti da Cass. S. U. 1712/95;

b) se il debito è superiore al massimale al pagamento degli interessi di mora sul massimale stesso, ex art. 1224 c.c., commi 1 o 2.

-L’assicuratore della r.c.a., quando sia scaduto lo spatium deliberandi di cui all’art. 148 cod. ass., può evitare gli effetti della mora:

  • attraverso l’offerta reale o secondo gli usi;
  • attraverso il deposito liberatorio di cui all’art. 140 cod. ass.;
  • oppure dimostrando che l’inadempimento è dipeso da causa non imputabile.

-Né la difficoltosa ricostruzione della dinamica del sinistro; né l’intervento di assicuratori sociali; né la mancanza di prona di alcune delle voci di danno richieste dalla vittima costituiscono, di per sé cause di esclusione della mora dell’assicuratore».

CASSAZIONE CIVILE, ORDINANZA N. 4668/2022 >> SCARICA IL PDF

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[1] La Suprema Corte decide nel merito ex art. 384 c. 2 c.p.c. e ritiene parzialmente fondato il motivo di gravame dell’assicurazione, laddove lamenta un errore di calcolo da parte del giudice di merito. L’obbligazione dell’assicuratore r.c.a. di pagare l’intero massimale è un’obbligazione di valuta a cui si applica il principio nominalistico e, in caso di ritardo, le regole relative ai danni delle obbligazioni pecuniarie (art. 1224 c.c.). La rivalutazione non opera per le obbligazioni di valuta, in ragione del citato principio nominalistico, salvo il caso in cui la rivalutazione sia accordata a titolo di maggior danno ex art. 1224 c. 2 c.c. A tal proposito si ricorda che «l’esistenza di un “maggior danno”, rispetto a quello compensato dagli interessi legali, deve presumersi iuris tantum in tutti i casi in cui il rendimento medio dei BOT di durata annuale sia stato, nel periodo della mora, superiore al saggio legale degli interessi» (Cass. SS.UU. 19499/2008). La base di calcolo degli interessi di mora deve essere, per ciascuno dei quattro danneggiati, la quota di massimale a ciascuno di essi spettante in proporzione del relativo credito usando la formula R = (MxDs)/Dc. Vale a dire:

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Risarcimento = Massimale x Credito di ciascun danneggiato/ Sommatoria dei crediti di tutti i danneggiati

Per un approfondimento, si rinvia alla lettura integrale della sentenza dal punto 12.5 a seguire.



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