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Il sistema pensionistico italiano è un sistema strutturalmente in perdita. Questo perché, in base ai dati di sviluppo macroeconomici, il meccanismo principale di garanzia e tutela delle prestazioni non è tendenzialmente in grado di sostenere l’attuale e futuro equilibrio dell’intero sistema.
L’attuale sistema complessivo si basa ancora, infatti, su un meccanismo “a ripartizione”, e cioè un meccanismo di natura distributiva o redistributiva di tipo solidaristico che presuppone l’accantonamento di risorse contributive o risparmi fiscali per l’appunto da distribuire o redistribuire. Ma, da almeno un quindicennio – in conseguenza dell’insorgenza della crisi del debito pubblico che in Europa nel 2008 ha coinvolto i Paesi PIIGS, e tra questi l’Italia – la spesa   pensionistica ha continuato ad aumentare, soprattutto in relazione a un saldo annuale negativo o d’incremento decimale del PIL. E pertanto la crisi del sistema emerge ormai come un dato strutturale. Nonostante la crisi derivi da una gestione ancorché precaria del sistema, a cui, prima della cosiddetta Riforma Fornero, la legge di Riforma Dini aveva già cercato invano di porre rimedio. Da allora (Legge Dini n. 335 dell’8 agosto 1995) sono trascorsi ormai quasi  trent’anni.
L’impianto della Legge Dini prevedeva sostanzialmente un sistema di prestazioni basato su due pilastri: una prestazione pensionistica derivante da forme di contribuzione obbligatoria e la formazione e il consolidamento di una prestazione pensionistica complementare derivante da forme di contribuzione individuali facoltative e d’importo variabile. Questo nuovo sistema di forme pensionistiche complementari, la cui disciplina di base è stata fissata con le disposizioni di cui al Decreto Legislativo n. 252 del 5 dicembre 2005, almeno nelle intenzioni del legislatore doveva servire a un duplice scopo: impinguare la riduzione mediale dell’assegno pensionistico obbligatorio conseguente all’introduzione del relativo metodo di calcolo contributivo; drenare risorse e risparmi “di deposito” (quote del TFR, contributi individuali) trasformandoli in risorse e risparmi “di investimento” finanziario.
A distanza di quasi trent’anni dall’impianto della Legge Dini, occorre tuttavia sottolineare che gli scopi della Riforma sono stati quasi del tutto mancati. Riguardo al dato della spesa pensionistica obbligatoria, dal 1995 a oggi, il dato del rapporto SPESA/PIL è passato dal 14% a oltre il 16%. Nonostante l’introduzione di un metodo di calcolo “contributivo” della prestazione, sfavorevole per il lavoratore medio e quindi  meno oneroso per le Casse o Gestioni previdenziali dello Stato, anche il trend di disallineamento tra il dato complessivo della contribuzione e il dato complessivo delle prestazioni ha registrato un saldo del rapporto in diminuzione e tendente all’allineamento (C/P=1).
Questa consolidata tendenza va comunque analizzata in relazione a due condizioni insite nel sistema pensionistico complessivo.
La prima, riguarda la mancata separazione della spesa pensionistica previdenziale (invalidità, vecchiaia e superstiti) da quella assistenziale (pensioni di invalidità civile, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali, pensioni di guerra, integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali, quattordicesima, importo aggiuntivo, altre prestazioni). La spesa assistenziale dovrebbe gravare sul risparmio fiscale dell’intera comunità nazionale, e invece – ancora di più a seguito della politica di aiuti (bonus) a sostegno delle categorie più colpite dalla pandemia – gran parte di essa continua da decenni a gravare sul risparmio contributivo e quindi individuale delle persone in attività di lavoro. Nel 2021, la cifra complessiva della spesa pensionistica assistenziale è stata stimata pari a 21,728 miliardi in confronto al dato della spesa pensionistica previdenziale pari a 238,271 miliardi.
La seconda, riguarda l’analisi dell’avanzo-disavanzo annuale per le ex-Casse o Gestioni attuali dell’Inps. Laddove risulta che alcune Gestioni si trovano in una situazione di deficit strutturale tale per cui occorrerebbe intervenire con provvedimenti legislativi piuttosto mirati.
Ora: nonostante le misure individuate allo scopo di ridurre il fabbisogno della spesa pensionistica necessaria siano servite a poco o nulla, o meglio siano servite annualmente soltanto allo scopo di contenere l’importo del fabbisogno medesimo, oltre a questo trend negativo occorre anche registrare il dato altresì tendenzialmente negativo riguardo alla misura dei tassi di sostituzione: le diverse proiezioni della media dei tassi di sostituzione illustrate nel Rapporto citato indicano anche per il futuro una previsione di riduzione della misura della prestazione pensionistica obbligatoria di circa 5 punti percentuali.
E quindi la questione principale resta pur sempre quella di stabilire dove attingere le risorse e i risparmi necessari al finanziamento dell’intero fabbisogno di spesa: non più, come dicevamo, risorse e risparmi “di deposito”, quanto invece risorse e risparmi “di investimento”. Così che la risoluzione prioritaria – oltre le variegate misure di intervento finora disposte in materia di diritto di accesso all’età pensionistica e conseguente calcolo della prestazione e i provvedimenti di gestione mirati a cui abbiamo solo fatto cenno – resta ancora legata alla promozione e allo sviluppo delle forme pensionistiche complementari.
In proposito, il Rapporto Covip 2022 evidenzia in particolare come nei Paesi OCSE, in media, le attività dei Fondi Pensione rispetto al PIL rappresentano il dato del 66,9%. Per l’Italia, il dato medesimo è solo il 9,7%. Il Rapporto dice anche che in Italia alla fine del 2022 le forme complementari totalizzano 9,2 milioni di iscritti, il 5,4 per cento in più rispetto all’anno precedente. In percentuale delle forze di lavoro, gli iscritti ai fondi pensione sono pari al 36,2 per cento.
Ancora troppo poco, e per giunta a distanza di trent’anni da una Riforma complessiva (Dini-Maroni-Fornero) che avrebbe dovuto cambiare il sistema, ma che invece è servita, fino ad oggi, soltanto a mettere di volta in volta toppe a un sistema di fatto già compromesso.

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