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Rispetto alle coppie di fatto, le coppie sposate hanno diritto a minori benefici e pagano più tasse?

«Sposarsi, oggi, non conviene più, meglio convivere; anzi, ancora meglio non essere sposati e avere due residenze diverse, così l’Isee è più basso e si prende il reddito di cittadinanza». Ultimamente, sentiamo spesso ripeterci questo “consiglio”, da parte di amici, parenti o conoscenti.

Non mancano i “pentiti” del matrimonio: «Io e mia moglie ci siamo separati, e lei ha trasferito la residenza nella seconda casa, così non paghiamo più l’Imu, e anche la Tari è più bassa. Inoltre, abbiamo diritto all’assegno sociale e alla pensione di cittadinanza».

C’è anche, però, chi sostiene che il matrimonio sia più conveniente della convivenza, per via del diritto alla detrazione per coniuge a carico ed alla pensione di reversibilità, in caso di decesso del coniuge lavoratore o pensionato.

Ma fiscalmente il matrimonio conviene, oppure è la convivenza la scelta più opportuna?

In realtà, non esiste una risposta valida per tutti, ma la scelta migliore, tra matrimonio e convivenza, dipende dalla specifica situazione e dal reddito prodotto dalla coppia.

In ogni caso, alla luce delle più recenti disposizioni, il matrimonio rappresenta un passo “irreversibile”: chi decide di sposarsi, poi si pente e si separa per ragioni di convenienza economica, può essere sottoposto a verifiche ed accertamenti, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza [1]. In molti, difatti, hanno deciso di separarsi per finta, per ottenere un Isee (l’indicatore della situazione economica della famiglia) più basso e guadagnare, così, il diritto al nuovo sussidio. Proprio per questo, in base alle nuove regole, i coniugi separati o divorziati fanno parte dello stesso nucleo familiare Isee, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione; se la separazione o il divorzio sono avvenuti dopo il 1° settembre 2018, il cambio di residenza deve essere certificato da apposito verbale della polizia locale.

Ai fini Isee, comunque, la convivenza è “equiparata” al matrimonio, e spesso non serve nemmeno aver due residenze diverse, né essere separati o divorziati, se la coppia ha dei figli. Ma procediamo con ordine e proviamo a fare un po’ di chiarezza.

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Il matrimonio conviene se uno dei coniugi non ha reddito?

Fiscalmente, il matrimonio può essere conveniente se uno dei coniugi ha un reddito pari a zero, o molto basso, al di sotto di 2.840,51 euro.

In questi casi, difatti, si ha diritto alla detrazione per coniuge a carico: si tratta di un importo che viene sottratto direttamente dalle imposte, e che può arrivare sino a 800 euro all’anno.

La detrazione varia in base al reddito, spetta se il coniuge non è effettivamente o legalmente separato, e si calcola in questo modo:

  • se il reddito del contribuente è collocato nella fascia da 1 a 15mila euro annui, la detrazione teorica spettante è pari a 800 euro; la detrazione effettiva si calcola con la seguente formula: 800 – [110 x (reddito complessivo: 15.000)];
  • se il reddito va da 15.001 euro a 29.000 euro: la detrazione spettante è pari a 690 euro;
  • se il reddito va da 29.001 euro a 29.200 euro: la detrazione spettante è pari a 700 euro;
  • se il reddito va da 29.201 euro a 34.700 euro: la detrazione spettante è pari a 710 euro;
  • se il reddito va da 34.701 euro a 35.000 euro: la detrazione spettante è pari a 720 euro;
  • se il reddito va da 35.001 euro a 35.100 euro: la detrazione spettante è pari a 710 euro;
  • se il reddito va da 35.101 euro a 35.200 euro: la detrazione spettante è pari a 700 euro;
  • se il reddito va da 35.201 euro a 40.000 euro: la detrazione spettante è pari a 690 euro;
  • se il reddito va da 40.001 euro a 80.000 euro: la detrazione teorica spettante è pari a 690 euro; la detrazione effettiva si calcola con la seguente formula: 690 x [(80.000 – reddito complessivo): 40.000].

L’importo della detrazione deve essere poi rapportato ai

mesi durante i quali il coniuge è stato effettivamente a carico, considerando che è equiparata al mese intero qualsiasi frazione di mese: ad esempio, se il contribuente si è sposato nel mese di settembre, l’importo della detrazione va diviso per 12 (mesi) e moltiplicato per 4 (mesi di spettanza della detrazione, cioè settembre, ottobre, novembre, dicembre). Lo stesso procedimento si deve applicare in caso di separazione, considerando anche il mese durante il quale la separazione avviene.

Se la coppia si separa nel mese di giugno, il coniuge può essere considerato a caso per 6 mesi, in quanto conta anche il mese in cui è avvenuta la separazione.

Non è invece possibile rapportare la detrazione in caso di superamento della soglia di reddito di 2.840,51 euro da parte del coniuge a carico: in questo caso, non spetta alcuna detrazione per tutto l’anno.

Il matrimonio conviene con due case nello stesso comune?

Fiscalmente, il matrimonio può essere invece non conveniente se i coniugi possiedono due case nello stesso Comune

: in queste ipotesi, è inverosimile che la coppia sposata viva in abitazioni differenti, visto che la convivenza è una delle finalità del matrimonio. I coniugi con due case nello stesso Comune, quindi, devono pagare l’Imu e la Tasi su una delle due abitazioni.

Se, però, i due sono separati, ciascuno può fissare la residenza in un’abitazione differente, ottenendo quindi l’esenzione Imu e Tasi. Tuttavia, la situazione è a rischio, in caso di finta separazione: il Comune, ad esempio, potrebbe avviare delle verifiche sulla base dei consumi. Se in un immobile non si registrano consumi di luce, gas o acqua, è improbabile che sia abitato: dall’indagine potrebbe derivare un accertamento fiscale e l’obbligo di pagare le imposte degli ultimi due anni, con interessi e sanzioni.

Il matrimonio conviene per Isee e reddito di cittadinanza?

Il matrimonio può risultare non conveniente anche ai fini Isee, nel caso in cui entrambi i coniugi producano reddito o possiedano beni immobili o patrimonio mobiliare (carte, conti, libretti, titoli, partecipazioni…) con valore al di sopra di determinate soglie. Ma come mai l’Isee è considerato così importante?

L’indicatore Isee, che ha lo scopo, in sostanza, di “misurare” la ricchezza della famiglia, è indispensabile per ottenere la maggior parte delle agevolazioni pubbliche e diversi sussidi, tra i quali il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza. Con la separazione, o col divorzio, il valore dell’Isee può abbassarsi, in quanto non sono più considerati i redditi e il patrimonio del coniuge uscito dal nucleo familiare: la valutazione della convenienza va fatta, però, caso per caso. Se, ad esempio, i coniugi sono entrambi molto poveri o nullatenenti, la separazione non conviene, in quanto è applicata una scala di equivalenza che fa crescere il valore del reddito di cittadinanza e abbassa l’Isee al crescere del numero dei familiari.

Ad ogni modo, bisogna considerare che, a fini della dichiarazione Isee, non sempre la composizione del nucleo familiare coincide con la famiglia anagrafica (risultante all’anagrafe del Comune): se la coppia ha figli, entrambi i genitori vengono comunque considerati nell’indicatore, anche se non sono mai stati sposati, o risultano separati o divorziati (salvo rare eccezioni). Ne abbiamo parlato in:

Reddito di cittadinanza, chi è nel nucleo familiare.

Inoltre, i coniugi separati o divorziati fanno parte dello stesso nucleo familiare Isee se continuano a risiedere nella stessa abitazione; se la separazione o il divorzio si sono verificati dopo il 1° settembre 2018, il cambio di residenza deve essere certificato da un apposito verbale della polizia locale, per evitare gli abusi.

Il matrimonio conviene per l’assegno sociale?

L’assegno sociale può essere ottenuto dagli over 67 se il reddito personale non supera 5.954 euro annui ed il reddito della coppia è inferiore a 11.908 euro (valori 2019). Può dunque accadere che l’interessato, con reddito pari a zero, perda il diritto all’assegno sociale in quanto il coniuge ha un reddito superiore a 11.908 euro annui. In questi casi, quindi, il matrimonio non conviene.

Se, però, l’interessato supera la soglia di reddito di 5.954 euro, senza superare gli 11.908 euro annui, ed il coniuge non ha reddito, o ha un reddito che, sommato a quello dell’interessato, non supera 11.908 euro all’anno, il matrimonio fa guadagnare il diritto al sussidio.

Il matrimonio conviene a chi ha debiti?

Se uno dei due coniugi è fortemente indebitato, ed è stato scelto il regime di comunione dei beni, i creditori possono rivalersi sui beni in comunione; in caso di separazione dei beni, i debiti di uno dei due coniugi non si trasferiscono sull’altro e i creditori possono aggredire solo i beni del debitore.

In caso di pignoramento mobiliare (arredi, elettrodomestici, gioielli…), però, vige la presunzione di comproprietà di beni mobili, se gli sposi risiedono assieme: il coniuge non debitore può dimostrare la proprietà dei beni mobili pignorati nella residenza solo con atto pubblico o scrittura privata di data certa anteriori al momento in cui è sorto il presupposto dell’iscrizione a ruolo.

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