ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI |
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Trib. Torino, 7/5/2018, n. 778 Trib. Milano, 10/9/2018, n. 1853 Trib. Palermo, 24/11/2020, n. 3570 Trib. Milano, 28/9/2023, n. 6979 |
Non c’è pace nel processo di qualificazione giuridica del lavoro tramite piattaforma online.
Il Tribunale di Milano, con due recentissime sentenze, pubblicate rispettivamente il 19 e il 20 ottobre 2023, ha nuovamente affrontato – a distanza di pochi giorni dalla pronuncia di grande eco mediatica resa dallo stesso Tribunale in punto di condotta antisindacale – il tema della qualificazione del rapporto di lavoro dei c.d. riders, questa volta al fine di valutarne le conseguenze sul piano previdenziale e assicurativo.
I due distinti procedimenti in merito ai quali è stato chiamato a pronunciarsi il Tribunale meneghino, nella persona del Giudice Dott. Nicola Di Leo, traggono origine dai ricorsi presentati da due delle principali società di food delivery tramite piattaforma online avverso i rispettivi verbali di accertamento e successive diffide ad adempiere, ricevuti da parte di INPS, INAIL e ITL, per la presunta omissione del versamento di contributi previdenziali.
Gli Enti, sulla base di una ritenuta qualificazione dei rapporti dei riders come collaborazioni etero-organizzate ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, avevano infatti accertato nei confronti delle società ricorrenti il mancato pagamento di contributi previdenziali, calcolati considerando ogni rapporto alla stregua di un rapporto subordinato a tempo pieno e utilizzando, per la determinazione degli imponibili, un inquadramento al V Livello del CCNL Logistica.
Le società ricorrenti contestavano, invece, la qualificazione giuridica operata, sostenendo che i riders dovessero più correttamente essere considerati lavoratori autonomi, con argomentazioni principalmente fondate sulla libertà dei riders di scegliere se, quando e dove lavorare e, comunque, sull’assenza di continuatività e di etero-organizzazione.
Le sentenze in commento, che nell’iter argomentativo risultano per lo più sovrapponibili, si inseriscono come ultima tappa temporale nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale originato dalle due sentenze di merito del 2018 dei Tribunali di Milano e di Torino – aggiungendo il tassello mancante, perlomeno a livello giurisprudenziale, delle tutele previdenziali e assicurative applicabili alle collaborazioni organizzate dal committente. Dibattito che, ad oggi, non sembra comunque del tutto sopito, nonostante le importanti indicazioni fornite dal primo approdo di legittimità, con la sentenza della Cassazione n. 1663 del 24/1/2020, alla quale le sentenze qui in commento si sono, peraltro, ampiamente e dichiaratamente ispirate.
Come noto, all’esito di una delle vicende giudiziarie che ha goduto di maggiore attenzione – oltre che di più interpretazioni – negli ultimi anni, la Suprema Corte aveva confermato la qualificazione del rapporto di lavoro dei riders proposta dalla Corte d’Appello di Torino nel 2019 come collaborazioni etero-organizzate ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015, correggendone però il percorso interpretativo e chiarendo i tratti distintivi di tale figura.
Secondo l’interpretazione dell’art. 2 fornita dalla Cassazione, tale norma si atteggerebbe a “norma di disciplina”, anziché norma “di fattispecie”, ossia una previsione che al verificarsi di taluni indici fattuali (ossia personalità, continuità ed etero-organizzazione), dispone l’applicazione delle tutele previste per il lavoratore subordinato ai lavoratori che operino in una “zona grigia” tra autonomia e subordinazione. La ratio sottesa alla norma sarebbe duplice: da un lato, antielusiva – con il fine di evitare il ricorso a forme di lavoro che volutamente sfuggano alle maglie delle tutele del lavoro subordinato – dall’altro, protettiva dei lavoratori che si ritiene operare in condizioni di debolezza economica (e contrattuale).
Prendendo le mosse dall’orientamento della Cassazione anzidetto, e nel solco di analogo spirito garantistico nei confronti di queste nuove forme di lavoro, le sentenze in commento hanno dapprima diffusamente argomentato in tema di qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei riders in questione, operando un’accurata valutazione delle concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, per poi prendere posizione sulla tutela previdenziale e assicurativa applicabile nella fattispecie concreta.
In merito alla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, il Tribunale, operando una dettagliata analisi del concreto svolgimento dei rapporti di lavoro tra le società e i rispettivi riders, in un procedimento avvalendosi anche di prove testimoniali e nell’altro ritenendo sufficiente l’istruttoria documentale espletata, ha ritenuto che fossero ravvisabili tutti e tre gli elementi costituenti la figura delle collaborazioni etero-organizzate.
Sul requisito dell’etero-organizzazione il Giudice – in linea con la pronuncia di legittimità del 2020 – opera una interessante distinzione tra la fase genetica e la fase esecutiva del rapporto. Nella prima, che viene sostanzialmente a coincidere con il contenuto del modello contrattuale proposto dalle ricorrenti ai riders, viene ritenuto sussistente un significativo grado di autonomia dei collaboratori, liberi di scegliere quando e se lavorare, nonché se accettare o rifiutare le richieste. Autonomia che, invece, è ritenuta venir meno una volta accettato l’ordine, ovvero nella fase esecutiva del rapporto.
Secondo il Tribunale, nello svolgimento della prestazione si realizzerebbe, infatti, “un’ingerenza funzionale” delle società committenti, tale per cui l’intera esecuzione della prestazione risulterebbe da questi ultimi fortemente e unilateralmente controllata e disciplinata, con contenuta residua possibilità di propria organizzazione in capo a riders. Diversi sono gli elementi valorizzati dal Tribunale per giungere a tale conclusione, tra cui l’esistenza di un ranking che condizionerebbe la possibilità dei collaboratori di prenotare gli slot-orari, l’obbligo di presentazione entro un tempo determinato dall’inizio del turno, la predisposizione di un codice di condotta, la determinazione unilaterale del compenso, il fatto che la prestazione, una volta accettato l’ordine, sia fortemente procedimentalizzata in ogni sua fase (il collaboratore è tenuto ad attestare il suo arrivo al ristorante, l’acquisizione del cibo da recapitare, la consegna al cliente, con appositi tasti da cliccare), etc.
Tali elementi, secondo il Tribunale, evidenzierebbero l’esistenza di un coordinamento diverso (in quanto unilateralmente imposto) e più invasivo rispetto a quello previsto dall’art. 409 n. 3 c.p.c., il quale – per consolidato orientamento giurisprudenziale – richiede, invece, un accordo tra le parti. È interessante notare che, secondo le sentenze in commento, tale coordinamento rappresenta qualcosa in più rispetto al coordinamento delle co.co.co. genuine, ma allo stesso tempo rappresenta qualcosa in meno rispetto alla eterodirezione da parte del datore di lavoro, e quindi della subordinazione ex art. 2094 c.c.: viene così resa esplicita la diversità di vedute sulla tematica rispetto alla pronuncia n. 6979 di alcuni giorni prima.
Sul requisito della natura personale della prestazione, il Tribunale lo ritiene soddisfatto giudicando i mezzi di cui si avvalgono in concreto i collaboratori (smartphone e bicicletta) di utilizzo comune e non aventi carattere preminente nella gestione del rapporto di lavoro.
Con riferimento, infine, al requisito della continuatività della prestazione, il Tribunale lo ritiene sussistente valorizzando la “vocazione di tipo continuativo” del modello contrattuale, vale a dire la mera possibilità che il contratto possa astrattamente avere una continua e ripetuta prestazione a scolta del collaboratore anche se, nei fatti, la prestazione fosse anche solo occasionale. Tra tutte, questa risulta forse l’interpretazione meno convincente per il fatto di porre l’accento proprio su quella fase genetica del rapporto che, ai fini della qualificazione della fattispecie, veniva invece espressamente relegata in secondo piano.
Una volta qualificati i rapporti dei riders come collaborazioni etero-organizzate, e quindi soggetti all’applicazione dell’articolo 2 del D.Lgs. n. 81/2015, il Tribunale arriva al cuore delle pronunce, ovvero alla disciplina previdenziale applicabile, e – in esplicita adesione all’interpretazione data dalla Corte di Cassazione del 2020 – sostiene che il richiamo alla disciplina del rapporto di lavoro subordinato, contenuto nel menzionato articolo 2, debba essere fatto nella sua interezza, salva incompatibilità, e – quindi – necessariamente comprendere anche la disciplina di tipo previdenziale del lavoro subordinato, non ravvisandosi ragioni, ne sistematiche, ne teleologiche, per ritenerla incompatibile.
L’interpretazione fornita dal Giudice milanese sul punto non può considerarsi affatto scontata. È pacifico, infatti, che l’articolo 2 del D.Lgs. n. 81/2015 nasca e permanga, anche a seguito della novella del 2019, come una norma assolutamente scarna e generica, foriera di incertezze e sulla quale, quindi, sono naturalmente sorte opposte fazioni e una pluralità di orientamenti, da ultimi riflessi anche nella giurisprudenza tutt’oggi non univoca.
In particolare, la criticità risiede nel fatto che la norma non chiarisce se il riferimento alla disciplina del lavoro subordinato sia da intendersi alla sua integrale disciplina o meno e non propone alcun esempio di cosa debba intendersi incluso. Nel percorso interpretativo di tale norma, sotto il profilo delle tutele previdenziali applicabili, il Tribunale milanese si aggancia allora a quella valutazione di “compatibilità” che trova origine nella sentenza di Cassazione n. 1663/2020 all’ormai famoso punto 41, il quale statuisce che “non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare”. Il Tribunale lo fa peraltro in modo molto accentuato, andando di fatto esso stesso a riempire di contenuto una dichiarazione della corte di legittimità che, in quella sede, era rimasta piuttosto generica, senza particolari declinazioni, e quindi forse andando anche oltre le intenzioni della corte stessa.
Secondo il Giudice, è questa verifica di compatibilità, enucleata dal principio sopra esposto, che deve muovere l’azione interpretativa nella selezione della normativa applicabile in linea con la natura del rapporto di lavoro inquadrato nell’ambito dell’articolo. 2. Compatibilità che, nella specie, è stata ritenuta sussistente dal Tribunale di Milano tra la figura della collaborazione etero-organizzata e l’impianto previdenziale del lavoro subordinato.
Sul punto, il Giudice richiama il principio giurisprudenziale del parallelismo e automatismo tra l’applicazione della disciplina lavoristica e quella previdenziale, dal quale fa discendere che la disciplina giuridica applicabile al rapporto di lavoro determina quella previdenziale. In modo piuttosto interessante, per i riflessi pratici che sottende, il Tribunale chiarisce anche la sua visione in merito al fatto che, laddove sussistessero delle deroghe in virtù di accordi collettivi ex art. 2, secondo comma, il complesso di norme del lavoro subordinato non potrebbe ritenersi applicabile e quindi, verrebbe meno il suddetto parallelismo con disapplicazione della normativa previdenziale dei subordinati agli etero-organizzati. Questa interpretazione presenta sicuramente una potenziale via di fuga, ad opera della contrattazione leader, dalla disciplina previdenziale del lavoro subordinato, opzione che, a fronte degli importanti effetti dettati dalla pronuncia in commento, varrà la pena perseguire in un’ottica di contenimento dei costi connessi.
Diversamente, e con ragionamento assolutamente condivisibile, le sentenze in commento non hanno ritenuto compatibile con la struttura della collaborazione etero-organizzata l’articolo 10 c. 1 del D.Lgs. n. 81/2015 – il quale prevede che “In difetto di prova in ordine alla stipulazione a tempo parziale del contratto di lavoro […] è dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno, fermo restando, per il periodo antecedente alla data della pronuncia giudiziale, il diritto alla retribuzione ed al versamento dei contributi previdenziali dovuti per le prestazioni effettivamente rese”, norma che era stata utilizzata dagli Enti per calcolare i contributi omessitenendo conto di un rapporto di lavoro full time.
Tale calcolo viene contestato dal Tribunale in ragione del fatto che le suddette collaborazioni, nella interpretazione fornita dal Tribunale, manterrebbero una sostanziale autonomia nella fase genetica del rapporto, ovvero nel momento della scelta se prestare o meno attività lavorativa; l’applicazione della norma in questione e, quindi, il riconoscimento di un rapporto a tempo pieno, porterebbe a delle conseguenze inconciliabili con la tipologia di lavoro, anche contro l’interesse dello stesso prestatore di lavoro che si troverebbe blindato in un rapporto esclusivo e, a questo punto, in concreto continuativo, con svilimento della sua libertà in ordine alla scelta di lavorare o meno, dovendo sottostare alle determinazioni in materia di orario di lavoro stabilite dal datore.
In ogni caso il Tribunale precisa che, quand’anche si ritenesse applicabile l’art. 10 del D.Lgs. n. 81/2015, ciò non giustificherebbe il calcolo operato nei verbali di accertamento, posto che la riqualificazione del rapporto come a tempo pieno non ha effetti sul passato e non ha carattere sanzionatorio.
Da ciò discende che i contributi dovranno essere versati non facendo riferimento ad un rapporto full time, ma solo e nei limiti delle prestazioni orarie effettivamente svolte, da determinarsi, secondo tali pronunce, nel tempo intercorrente tra il login e il logout del rider alla piattaforma, includendo pertanto nella prestazione di lavoro effettiva anche l’attività di rendersi disponibile a ricevere richieste.
Di conseguenza, in applicazione di tali principi, anche l’attività minima consistente in una disponibilità dei collaboratori, se considerata prestazione lavorativa come nelle sentenze in esame, deve essere assoggettata a contribuzione.
Le sentenze “gemelle” in commento rappresentano un approdo giurisprudenziale assolutamente rilevante, se si considera che è la prima volta che la giurisprudenza statuisce in tema di tutela previdenziale applicabile alle collaborazioni etero-organizzate, salvo per alcune sentenze (App. Torino e Cassazione n. 1663/2020) che si erano limitate a toccare il tema incidentalmente, in obiter dicta, seppur in linea con gli esiti dei giudizi in commento.
Fino a questo arresto, infatti, l’attenzione dedicata al tema della tutela previdenziale dei collaboratori etero-organizzati era stata marginale, per lo più relegata in un ambito accademico e dottrinale – o amministrativo, con la circolare n. 7/2020 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro – e rifletteva le forti contrapposizioni esistenti tra le diverse posizioni sull’argomento.
Risultano, all’evidenza, ancora aperti diversi snodi interpretativi, che si prestano a valutazioni confliggenti: tra i vari, la correttezza della determinazione del tempo di lavoro dal login al logout nei casi in cui al lavoratore, pur disponibile, permanga la facoltà di non accettare l’ordine, o l’interpretazione del concetto di continuatività, specie a fronte di rapporti puramente occasionali, così come non appare neppure concluso il dibattito sulla compatibilità della disciplina del lavoro subordinato con le collaborazioni etero-organizzate, mancando ad oggi la puntuale individuazione di criteri univoci sulla base dei quali tale compatibilità debba essere valutata.
Alle pronunce in commento va sicuramente il merito di aver offerto una disamina completa ed esaustiva delle criticità tuttora presenti nella normativa avente ad oggetto il lavoro su piattaforme e di averlo fatto operando con equilibrio, pur nel dichiarato spirito garantista, con un occhio attento al concreto atteggiarsi di queste nuove tipologie di lavoro e ai loro possibili sviluppi e, soprattutto, senza cadere nell’appiattimento della tutela sulla tipologia di lavoro subordinato standard.
Riferimenti normativi:
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