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Il settore ceramico italiano conferma le strategie messe in atto già da tempo per ridurre l’impatto ambientale 
a medio e lungo termine. E ora aumenta gli investimenti per contenere il più possibile l’uso di materie prime.

Le norme sulla gestione dei rifiuti e sull’economia circolare adottate in via definitiva ormai da qualche anno dal Parlamento Europeo hanno obiettivi ambiziosi in materia di recupero e di riciclo degli scarti di lavorazione e degli oggetti giunti a fine vita. La conseguenza è che le aziende sono chiamate a valorizzare il proprio prodotto promuovendo sistemi e strategie per non aggravare ulteriormente la situazione – ormai prossima alla saturazione – delle discariche, che le vede praticamente arrivate alla saturazione: entro il 2025, in effetti, l’Italia potrebbe essere costretta a esportare i propri rifiuti (Fonte: The European House-Ambrosetti su dati ISPRA, 2021). Su questo fronte, però, il settore della ceramica rappresenta un esempio virtuoso: se infatti si pensa alle materie prime, il prodotto in ceramica destinato a rivestimenti, sanitari e stoviglieria è il bene più durevole che esista. Allargando lo spettro d’indagine e considerando anche l’impatto ambientale della produzione, “ricordiamo che il gres porcellanato cuoce a 1200 gradi per un tempo inferiore ai 35 minuti”, commenta Filippo Manuzzi, vice presidente di Confindustria Ceramica, “e dunque un metro di prodotto emette percentuali minime di CO2 in atmosfera in un ridotto lasso di tempo, considerando anche che la durata è superiore ai 50 anni. Non a caso l’analisi di LCA (Life Cycle Assessment), svolta nel 2012 dall’Università di Modena e Reggio Emilia con l’obiettivo di confrontare le emissioni e le alterazioni causate da produzione, uso e fine vita di alcune tipologie di pavimentazione, ha confermato che il gres porcellanato ha un impatto ambientale minore di altri materiali. Dunque, ancor prima di parlare di recupero di acque pluvie e di scarti della macinazione, di materia prima cruda o cotta, che di fatto già vengono riciclati in percentuali elevatissime, la durabilità del prodotto è il primo tema da tenere presente in un’ottica di concreta sostenibilità”.

La possibilità di riutilizzare gli avanzi della lavorazione fa la differenza

Il risparmio di risorse è un obiettivo fondamentale per la salvaguardia dell’ambiente. Nell’ottica di minimizzare la produzione di rifiuti, reintroducendoli all’interno del ciclo produttivo per generare ulteriore valore, la Ceramica italiana ha adottato strategie mirate per ridurre l’impatto ambientale delle proprie produzioni, con investimenti mirati volti a ridurre al minimo il consumo di materie prime. Se la necessità è quella di risparmiare in termini di materia prima (che quindi non viene utilizzata per produrre nuovi prodotti, che dovranno essere conseguentemente smaltiti) serve considerare che il comparto ceramico è tra quelli che producono beni con cicli di vita considerati quasi infiniti. “La ceramica ha un ciclo produttivo assolutamente circolare, perché è composta da materie prime naturali: possiamo dire che i suoi principali ‘ingredienti’ sono terra e acqua pressate insieme e successivamente cotte”, prosegue Manuzzi. “Il processo così descritto è ovviamente semplificato, ma permette di comprendere che tutti gli scarti crudi e cotti non vengono conferiti in discarica, ma possono essere reimpiegate al 100% all’interno di un successivo ciclo produttivo. Considerando il processo anche da un punto di vista economico, sarebbe infatti sconsiderato gettare via delle materie prime che, adeguatamente rimacinate e sbriciolate, possono essere riutilizzate: in questo modo ci si può permettere di utilizzare una minore quantità di materie prime vergini e di ottenere una riduzione quasi totale degli sprechi, annullando anche gli scarichi inquinanti. Grazie all’utilizzo degli scarti interni alla produzione, nel 2022 abbiamo risparmiato 750 mila tonnellate di materia prima”.

Si lavora per il taglio delle emissioni e degli scarichi inquinanti

L’impatto ambientale della Ceramica Italiana è diminuito in modo considerevole negli ultimi anni. Gli scarti di produzione e di depurazione del settore vengono riutilizzati all’interno del ciclo produttivo, e permettono di coprire l’8,5% del fabbisogno delle materie prime minerali necessarie per il processo di fabbricazione. Gli scarti di lavorazione crudi vengono reimmessi direttamente nel ciclo produttivo, mentre gli scarti cotti sono lavorati per ridurne le dimensioni ed essere reintrodotti all’interno del processo di preparazione degli impasti. La Ceramica Italiana supera ampiamente le soglie minime delle Migliori Tecniche Disponibili (Best Available Techniques o BAT) per il trattamento dei rifiuti, emanate dalla Commissione UE nel 2018. La percentuale è infatti del 112%: “Non sprechiamo nemmeno una goccia d’acqua e uniamo acque pluvie e acque reflue: siamo al di sopra di ogni standard possibile”, conferma il vice presidente di Confindustria Ceramica. “I valori inerenti al Fattore di riutilizzo interno/esterno dei rifiuti, e cioè la percentuale di rifiuti solidi reimpiegati nel processo produttivo, variano da un minimo del 93% a un massimo del 318%, attestandosi mediamente a un 112% e superando di molto il limite del 50% richiesto dalle BAT di settore”.

In termini di consumi materici e di emissioni in atmosfera di gas climalternanti (l’anidride carbonica, il metano, l’azoto, i fluorati: in pratica i gas serra), l’elevato grado di riutilizzo degli scarti di produzione consente al settore della Ceramica italiana un minor utilizzo di materie prime vergini, una riduzione di sprechi, un quasi totale annullamento degli scarichi inquinanti e una drastica diminuzione delle emissioni di CO2 legate al trasporto delle materie prime, dal sito di estrazione fino al sito di produzione. “Dal 2020 assorbiamo e ricicliamo anche scarti e prodotti derivati da filiere simili alle nostre, inserendoli nei nostri impasti. Lo facciamo sia per una questione ambientale che economica: non dimentichiamo che lo sviluppo tecnologico, con il miglioramento dei cicli di produzione dal punto di vista ambientale, è sempre nato da convenienze economiche. Produciamo in un Paese che ha standard di emissione bassissimi, e operiamo in un continente che è sotto il giogo degli ETS (European Union Emissions Trading Scheme, il sistema per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra, una delle principali misure dell’Unione Europea per la riduzione delle emissioni nei settori industriali a maggior impatto sui cambiamenti climatici, n.d.r.), un metro di valutazione che non risolve la questione della riduzione delle emissioni, perché non è pensato per agevolare le azioni virtuose a favore dell’ambiente, ma è un parametro dietro al quale si nasconde speculazione finanziaria: in sostanza, il denaro che le aziende spendono in ETS non è stanziato per operazioni volte alla sostenibilità. Questo comporta una crisi seria nel settore, che vedrà sempre di più l’Europa uscire dai giochi legati alla competitività rispetto ad altri Paesi: continuando di questo passo, rischiamo di diminuire la nostra produzione a livello globale per ridurci a importare prodotti fatti in Paesi extra-europei realizzati in modo meno sostenibile e meno etica, con standard ambientali più bassi dei nostri e condizioni di lavoro pessime”.

Manuzzi sottolinea ancora l’importanza di una presa di consapevolezza, da parte della politica italiana ed europea, per allontanare sempre più il fenomeno appena descritto: “Dati alla mano, considerando il mondo dell’edilizia, dei trasporti, dell’agricoltura, del riscaldamento e delle attività industriali, l’Europa emette l’8% di CO2 nell’atmosfera. Se ci intestardiamo sull’azzeramento di questo 8%, ci troveremo presto nelle mani della Cina, che resterà l’unico produttore di tutti i beni disponibili, con una disoccupazione europea fuori controllo. Uni scenario dove a rimetterci saranno i lavoratori e l’ambiente”.

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Grazie alle certificazioni si azzera il rischio del greenwashing

La rispondenza alle normative ambientali delle Ceramica Italiana oggi può essere misurata e certificata. La norma ISO 17889-1 è il primo standard internazionale che valuta la sostenibilità delle piastrelle, secondo 38 indicatori di performance ambientale, sociale ed economica. La norma attribuisce un punteggio ai prodotti, analizzandone l’intero ciclo di vita, e solo se raggiunge un punteggio di 117.5 su 130 un prodotto può essere definito sostenibile. La media settoriale della ceramica supera i 124 punti e, grazie alla conformità alla norma ISO 17889-1, il consumatore ha la sicurezza di scegliere aziende che tutelano davvero l’ambiente e rispettano le persone evitando le trappole del greenwashing.

Creare un ponte con l’edilizia sul fronte dello smaltimento differenziato

Così come le aziende della ceramica sono state chiamate a fare passi avanti sul fronte dello smaltimento, anche l’edilizia dovrà dotarsi di regolamentazioni ad hoc, perché l’indifferenziato, con l’andar del tempo, avrà costi di gestione sempre più elevati. Del resto, come già sottolineato, i grandi cambiamenti virtuosi nella storia hanno sempre avuto una ‘molla’ legata ai vantaggi economici, e oggi più che mai “dobbiamo lavorare in modo sinergico, mettendo insieme comunità, impresa, tecnologia e innovazione”, rimarca Manuzzi. “Converrà sempre di più differenziare – nella fase dello smaltimento in cantiere – tra prodotti inerti, materie plastiche e tutto il resto, ma senza mai dimenticare che, rispetto ai materiali alternativi come Pvc, LVT, linoleum o gomme, la ceramica può essere riutilizzata, per esempio come sottofondo per le strade o per creare sostrati stabilizzanti. In sostanza, la ceramica è un bene valoriale, anche quando è da buttare”.



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