In un procedimento instaurato per l’affidamento e il mantenimento di minori nati da genitori non sposati tra loro, che tuttavia avevano lungamente convissuto, la parte che non aveva visto accogliere le proprie ragioni nella sede di merito ricorre contestando, in particolare, il mancato ascolto delle figlie gemelle (di undici anni e mezzo) e la violazione dei diritti dei minori a ciò conseguenti. La Corte d’appello, nel respingere la richiesta, aveva ritenuto superflua l’audizione “a fronte di una situazione familiare ampiamente indagata e valutata dal CTU in tutti i suoi aspetti”. La Corte di Cassazione, dopo aver richiamato la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, la Convenzione di Strasburgo e gli artt. 315 bis, 336 bis e 337 octies del codice civile, accoglie il ricorso e cassa il decreto impugnato, affermando che le minori avevano diritto di esporre le proprie ragioni nel corso del processo, “a contatto diretto con l’organo giudicante” (Cassazione civile, sez. I, ordinanza 18 settembre 2023, n. 26698).
Benché prevista da fondamentali convenzioni internazionali, l’audizione del minore è stata oggetto, nel nostro ordinamento, di altalenanti previsioni.
L’art. 708 c.p.c., nel testo originario, non la prevedeva. La L. 898/70 disponeva che il presidente sentisse i figli minori, ove lo ritenesse opportuno. Con la L. n. 74 del 1987 questa disposizione, applicabile anche alle separazioni, fu modificata in senso restrittivo, disponendo che i figli venissero sentiti solo se strettamente necessario. Con la riforma del 2005, per le separazioni, si tornò all’antico, escludendo di nuovo dal dettato letterale della norma la possibilità di sentire i minori. La L. 54 del 2006 rese obbligatorio l’ascolto del minore ultradodicenne “e anche di età inferiore ove capace di discernimento”.
L’art. 315 bis, attualmente vigente, stabilisce definitivamente il diritto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardino. Tale diritto si fonda, come affermato dalla Corte di Cassazione (16410/20), sul fatto che i minori, nei procedimenti suddetti, non sono parti formali, perché privi di legittimazione processuale, ma sono parti sostanziali in quanto portatori di interessi diversi, quando non contrapposti, rispetto ai loro genitori. In ragione di ciò, la medesima Corte (1471/21) ha affermato che i mancato ascolto del minore, ove non giustificato da un’espressa motivazione, costituisce violazione del principio del contraddittorio.
In armonia con tali principi, l’art. 473 bis 4 c.p.c. introdotto dalla riforma Cartabia, ha stabilito, come regola, l’obbligo di ascolto. Il secondo comma del medesimo articolo ha previsto i casi in cui il giudice può derogarvi, con idonea motivazione.
L’obbligo di audizione del minore non è pertanto inderogabile, ma la scelta di non attuarla va congruamente motivata e la motivazione deve rientrare nelle fattispecie previste dalla norma.
Nel caso di specie, il giudice di merito non ha negato l’ascolto per mancanza della capacità di discernimento, per contrasto con l’interesse del minore o per un’altra tra le ragioni previste, ma perché il CTU aveva già ampiamente valutato la situazione familiare. Tale motivazione, diversa dal caso in cui l’ascolto sia stato ritenuto superfluo perché operato più volte nel corso del processo, si rivela incongrua. Il giudice di appello, per quanto si desume dall’ordinanza in esame, non aveva affermato che il minore poteva essere ascoltato dal consulente, bensì genericamente che gli elementi raccolti dallo stesso erano idonei a descrivere la situazione familiare. Tale motivazione ignora la qualità di parte sostanziale del minore e le ragioni per le quali la sua diretta audizione è prevista dalla norma.
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Si osserva inoltre che l’attuale art. 473 bis 5 del codice di procedura stabilisce che l’ascolto del minore deve essere condotto dal giudice. Esperti e ausiliari possono assistere il magistrato, ma non sostituirlo. Anche prima dell’introduzione di tale norma, la giurisprudenza di legittimità aveva affermato che solo l’ascolto diretto del giudice dà spazio alla partecipazione attiva del minore al procedimento che lo riguarda. L’audizione non può essere sostituita dalle risultanze di una consulenza tecnica di ufficio, che assume la diversa funzione di fornire al giudice strumenti di valutazione per individuare la soluzione più confacente all’interesse del minore.
Può essere utile ricordare che, secondo altra (e recente) giurisprudenza di legittimità (ord. 6503/2023) non è neppure sufficiente, per negare l’audizione, il fatto che il minore sia stato ascoltato nel precedente grado di giudizio.
A completamento di tali già esaustive considerazioni, l’ordinanza in esame afferma che l’audizione non poteva essere negata perché le dichiarazioni delle minori non sarebbero state comunque vincolanti per l’organo giudicante, che ben avrebbe potuto discostarsene, in quanto la relativa decisione avrebbe dovuto assumersi dopo aver ascoltato le ragioni delle minori e non prima, aprioristicamente.
L’argomento della capacità di discernimento poteva essere tralasciato dall’ordinanza, non essendo state spiegate motivazioni nel provvedimento di merito o rilievi di parte sul punto. Ciò nonostante, la Corte ritiene di richiamarla, descrivendone il contenuto e rilevando che le minori erano molto vicine al raggiungimento dei dodici anni e, dunque, in una fase autoriflessiva del loro sviluppo cognitivo.
Riferimenti normativi:
L. 898/70
Art. 473 bis 4 c.p.c.
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