Un ritratto dipinto a più mani: 40 interviste esclusive ad artisti, scrittori, sportivi, cantanti, imprenditori che svelano il legame con le città dove sono nati, cresciuti, cambiati. E’ il tema del numero speciale di 7 in edicola venerdì 11 agosto. Pubblicheremo la maggior parte i racconti per i lettori di Corriere.it
«Genova mi ha sempre strizzato l’occhio, c’è stata una sintonia comunque molto personale, c’è sempre stato inconsciamente un richiamo, anche prima di Fabrizio». Nella sua ariosa casa milanese piena di luce e di libri davanti al nuovo skyline dei grattacieli, Dori Ghezzi racconta la sua seconda città, la Superba bella e segreta, che va scoperta, e comincia a raccontare il suo viaggio e la sua Genova.
La prima volta è stata nel 1967: «Avevo appena cominciato a cantare e ad avere successo e mi ritrovo sulla Michelangelo, la grande nave degli Anni 60, che ripartiva con un concetto più turistico che di servizio; c’era l’inaugurazione dove ero stata invitata e là mi sono resa conto di una vita che non esisteva più, di una grandeur che comunque resisteva, di quella conservazione del concetto di Repubblica marinara: lì si facevano cene a base di caviale e ostriche tutti i giorni. Ho scoperto che solo Genova era in grado di offrirti queste cose scomparse, erano gli ultimi rigurgiti prima della contestazione e Genova ci tiene a questo, può essere più o meno decadente, va a periodi, ma lo fa con un’eleganza e un orgoglio per cui non a caso la chiamano la Superba. E quella Genova ha classe anche nel dire sono in crisi».
Il secondo contatto è stato sempre con quella Genova vista dal mare, due anni dopo, nel 1969, quando Dori riceve il premio Caravella d’oro al Lido di Genova, affacciato da un lato sul mare e dall’altro su Corso Italia. «A me premiavano per Casatschok, ma c’era anche Fabrizio che era premiato per Tutti morimmo a stento, bella differenza fra le due canzoni e a me veniva un po’ da ridere. Non ci siamo presentati ma c’è stato un intenso gioco di sguardi, così lontani così vicini, lì c’è stata la promessa, anche se poi ci siamo conosciuti e presentati solo nel 1974».
Ma anche là, al Lido, sei rimasta sempre dalla parte della Genova vista dal mare.
«E della Genova benestante: poi, quando finalmente conosco Fabrizio, dove mi ritrovo ad andare a vivere? A Villa Bombrini ad Albaro, dove viveva la famiglia, dove aveva soggiornato George Byron, che chiamano Villa Paradiso per la bellezza e la posizione e la vista, insomma ho conosciuto Genova a livelli alti, un po’ sopra le righe».
Ma in seguito, con lui, hai scoperto anche un’altra Genova, anzi due.
«Io già la conoscevo dal mare con un impatto bello come pochi, come tante altre persone arrivate dal mare e lui mi ha portato al Righi, nel colle in alto su in collina, e ho visto Genova da un’altra prospettiva come quelli che arrivavano in città a piedi, da lontano, con i cavalli… ».
«PIAZZA CORVETTO, TONDA TONDA TONDA, CON LE VIE INTORNO CHE VANNO IN TUTTE LE DIREZIONI, IN ALTO, IN BASSO, DI LATO, E I GIARDINI È VERAMENTE IL CUORE, L’OMBELICO DELLA CITTÀ… UNO SPAZIO MERAVIGLIOSO CHE MI HA LASCIATA SENZA FIATO»
Genova vista dall’ascensore Castelleto (foto di Astrid Fornetti)
Colpo da maestro il suo, quello di mostrarti la città stesa sotto di te, dai colli.
«L’ho conosciuta, come dico sempre, attraverso questi occhi innamorati. Un rischio, perché non riesci ad essere obiettiva e se te la decantano tanto poi la realtà ti può anche deludere. E invece no, perché là anche la decadenza, come dicevo, è sempre fatta con stile».
Dunque Dori hai visto arrivare Genova da due prospettive diversamente fondamentali per inquadrarla, mari e monti: e l’altra Genova, quella segreta?
«Dopo la città opulenta è venuta ovviamente quella dei carugi e degli ultimi. Cosa avrebbe scritto Fabrizio se non avesse visto e conosciuto quella gente? Gente di classe anche nel degrado, anche nei carugi. Genova come poche altre citta italiane, forse solo come Napoli, è abituata ad accogliere le varie etnie da sempre, e quindi a capirsi in ogni caso, ad accettarsi, a conoscersi, a vedere il vantaggio delle contaminazioni, vere citta aperte. E Fabrizio aveva assorbito questa apertura, e mi stupiva perché, quando andavo a Genova, vivevo queste realtà al di fuori dalla norma, in case bellissime e sontuose, e poi a Milano vivevamo con Fabrizio nel famoso residence Ghezzi, molto più normale, dove stavo io con tutta la famiglia, dieci persone in 160 metri quadri. E questo era per farti capire l’apertura mentale di Fabrizio, come eravamo pronti ad accettare le varie realtà della vita».
Fabrizio non amava la prima Genova, quella borghese e aristocratica che viveva in collina e lontana dal porto
«Non la odiava no, ma non gli è bastata, anche se non l’ha mai rinnegata, ma voleva capire il fascino, l’odore dell’altra città ».
Quella città che era preclusa ai ragazzi e alle ragazze di buona famiglia?
«Ma è proprio quello il motivo che ha attratto Fabrizio, questo proibizionismo, il sentirsi dire lì non ci devi andare, e invece in quel luogo di contaminazione scopri la vita e la bellezza. Perché sei lì, e subito dopo giri l’angolo e ti trovi in via Garibaldi che è una delle più belle vie del mondo. Tu dici “voglio costruire la via perfetta”, ed eccola lì, con i palazzi più belli, più eleganti, piu chic. Ecco è quella Genova che in un attimo ti riserva delle sorprese, vai un po’ avanti e arrivi in piazza Corvetto, tonda tonda tonda, con le vie intorno che vanno in tutte le direzioni, in alto, in basso, di lato, e i giardini… Uno spazio meraviglioso che mi ha lasciata senza fiato».
Il cantautore Fabrizio De André abbracciato dalla cantante e compagna Dori Ghezzi, in uno scatto del 1981
Non è facile capire questo luogo, anche io che sono genovese, la uso come test: porto gli amici a piazza Corvetto e vedo come reagiscono, se rimangono immuni o se capiscono.
«Lui non mi diceva niente prima, voleva capire le mie reazioni».
E tu hai apprezzato subito, da vera intenditrice, mentre sono le tante persone che non riescono a cogliere quella cifra segreta, che è lì, ma che gli sfugge.
«Sembra veramente il cuore, l’ombelico della città. Non ti so dire perché dalla prima volta che l’ho vista, quella piazza non me la sono mai più tolta dalla testa. È sbilenca, un piccolo carousel in salita, è piccola ma sembra grande. Boccadasse è evidente che è bella, ma questa piazza ha come un mistero dentro».
Finta pensionata come si definisce, Dori è in piena attività, impegnata con la Fondazione di Fabrizio che si prepara a celebrare i 25 anni senza di lui. «Ma io preferisco dire 25 anni con Fabrizio, perché non è mai stato così presente come oggi, un punto di riferimento». Fra le altre cose c’è un progetto a cui tiene molto, la pubblicazione dei libri di Pier Paolo Pasolini, letti e appuntati da De Andrè. E poi il Museo dei Cantautori, che sta nascendo in un altro luogo magico di Genova, l’Abbazia di San Giuliano, nuovo spazio delle arti e della memoria che corre parallelo a Corso Italia, fra la via e la spiaggia: ci saranno gli spazi dedicati ai cantautori, «dove le famiglie porteranno le cose più care e preziose, e un centro di formazione per imparare tutto quello che è legato alla musica. Perché aiuta i giovani, con la musica li puoi salvare, con lei imparano a riconoscere il proprio talento e a difenderlo. Non c’è altra arte così completa chiudi gli occhi, ascolti musica e non hai bisogno di altro».
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