Il governo progetta “micro” interventi sul sistema pensionistico, con un budget desiderato di meno di 800 milioni di euro, che potrebbe richiedere nuove risorse attraverso l’inasprimento delle regole di rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione. A gennaio, l’Inps ha applicato differenti tassi di rivalutazione a seconda dell’importo della pensione: piena rivalutazione (100%) per pensioni fino a 2.101,52 euro, e percentuali decrescenti per importi superiori. Ad esempio, pensioni superiori a 2.101,52 euro hanno visto una rivalutazione del 5,7%. Varie percentuali di aumento sono state applicate a fasce di reddito pensionistico crescenti, con la rivalutazione che diminuisce all’aumentare dell’importo pensionistico. Il mantenimento di questo sistema avrebbe un costo di 13 miliardi, pertanto, il governo sta valutando la possibilità di ridurre ulteriormente le rivalutazioni per ottenere le risorse necessarie per i progetti. Le ripercussioni delle modifiche alle regole di indicizzazione delle pensioni per il 2023 e il 2024, volute alla fine dell’anno precedente, si manifesteranno in una perdita di potere d’acquisto compresa tra il 7,5% e il 9%, afferma Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari Previdenziali. Pertanto, la Confederazione Italiana dei Dirigenti e delle Alte Professionalità (Cida) ha intrapreso azioni legali contro il governo. Analogamente, anche la Uil ha avviato azioni legali nel luglio passato per mantenere viva l’attenzione su quella che considera un’ingiustizia, colpendo circa 3,5 milioni di pensionati, soprattutto nel contesto di un significativo aumento dell’inflazione, come sottolineato in precedenza dal sindacato.
Modesto aumento degli assegni minimi
Dopo un vertice di maggioranza, Palazzo Chigi ha comunicato che la manovra 2024 sarà “seria e nel contesto della sostenibilità della finanza pubblica”, focalizzandosi su redditi e pensioni medio-bassi. Nonostante la promessa del governo, precedentemente enfatizzata da Silvio Berlusconi, di aumentare le pensioni minime da 600 a 1000 euro entro la fine della legislatura, al momento tale opzione non è attivamente considerata. Tuttavia, in base a una dichiarazione generica di Palazzo Chigi, sembra che ci possa essere la considerazione di un modesto aumento degli assegni minimi, portandoli potenzialmente a 650 o 670 euro. Naturalmente, anche questa possibilità dipenderà dalle risorse disponibili e dall’approccio cauto adottato dal Ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. «Il governo ha posto priorità assoluta su redditi e pensioni più bassi per contrastare gli effetti negativi dell’inflazione, sulla riduzione delle tasse attraverso la conferma del taglio del cuneo fiscale e contributivo e l’anticipo della riforma dell’Irpef prevista dalla delega fiscale, misure per la famiglia con incentivi per la natalità e le donne lavoratrici, risorse significative per il comparto sanitario e i rinnovi dei contratti del pubblico impiego scaduti da tempo». E’ quanto si legge in una nota di Palazzo Chigi al termine del primo incontro con le parti sociali sulla manovra.
Confermata la proroga di Quota 103 per il 2024
La proroga di Quota 103, che consente la pensione a 62 anni di età e con 41 anni di contributi, è confermata per tutto il 2024, con un costo previsto di circa 1,2 miliardi di euro. Sebbene la misura dovesse originariamente concludersi quest’anno, sarà estesa per un ulteriore anno. Nonostante si sia discusso di una possibile stabilizzazione della misura, il report della Ragioneria evidenzia che l’implementazione permanente di Quota 103 comporterebbe un aumento della spesa in rapporto al PIL, stimabile in 8,4 punti percentuali rispetto alla legislazione attuale, pari a oltre 170 miliardi di euro in 50 anni.
Sfuma l’ipotesi di prepensionamento part-time
L’ipotesi di introdurre un meccanismo di prepensionamento part-time in Italia sembra meno verosimile alla luce delle recenti discussioni. Tale sistema, già sperimentato in Paesi del Nord Europa come Norvegia e Svezia, permette una riduzione progressiva delle ore di lavoro, compensata da un assegno pensionistico equivalente, fino al raggiungimento dell’età pensionabile ordinaria. Se implementato in Italia, il meccanismo potrebbe favorire una staffetta generazionale, incentivando l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani sotto i 35 anni, mentre permette ai lavoratori più anziani di trasferire progressivamente le loro competenze alle nuove leve durante la fase di riduzione dell’impegno lavorativo.
Opzione donna verso l’ampliamento della platea
La misura “Opzione donna”, attualmente confermata e potenzialmente soggetta a un ampliamento della platea beneficiaria dopo le restrizioni imposte dall’ultima legge di Bilancio, permette alle lavoratrici, sia del settore pubblico che privato, con 35 anni di contributi accumulati entro il 31 dicembre 2022 e 60 anni d’età, di accedere alla pensione. Questi requisiti sono più rigorosi rispetto a quelli precedentemente previsti, che stabilivano un’età pensionabile di 58 anni per le dipendenti pubbliche e 59 per quelle private, con alcune riduzioni previste per le madri. Il governo Meloni sta considerando la possibilità di ritornare alle vecchie regole, come suggerito dalla ministra del Lavoro Marina Elvira Calderone, benché tale scelta implichi costi significativi. Parallelamente, è stata avanzata un’altra proposta: l’introduzione di una “Quota 84” per le donne, consentendo la pensione con 64 anni d’età e 20 di contributi.
Uil: in manovra 3 miliardi per sanità, nulla alla previdenza
Nella manovra «ci sono 3 miliardi per la sanità, che non sono sufficienti: la sanità va salvaguardata perché riguarda la vita delle persone». Lo ha detto il segretario confederale della Uil Domenico Proietti al termine dell’incontro sulla manovra a Palazzo Chigi. «Non c’è niente sulla previdenza, dicono che rinnoveranno quota 103, ma non viene fatta menzione della rivalutazione piena delle pensioni e temiamo ci possa essere ancora la tentazione del ricorso alle pensioni come bancomat. Anche su Opzione donna non c’è nulla», ha aggiunto.