di Emiliano Bartolozzi
Negli ultimi anni la giustizia italiana, giustamente accusata dalla UE per avere dei tempi biblici ed essere anche piuttosto inefficace (una sentenza che arriva dopo 15 anni è poco più di un bel pezzo di carta), ha deciso di riformarsi, di aprirsi alle nuove tecnologie e dare spazio alla digitalizzazione. Sembrerebbe tutto molto bello ed anche io mi ero inizialmente illuso che finalmente si andasse nella direzione giusta.
Devo purtroppo ammettere che le mie speranze sono state deluse. Grandemente deluse. Le riforme della giustizia avrebbero dovuto avere l’uomo al centro, il cittadino!
Invece, come al solito in Italia, al centro c’è lo Stato e le sue necessità. Questo è, a mio avviso, uno dei grandi mali del nostro paese, non solo nel settore giustizia. Il cittadino non è quasi mai al centro dei pensieri della politica di un paese pieno di debiti che ha come primo obbiettivo quello di far tornare i conti e non di dare servizi efficienti al cittadino.
Se poi le “riforme” vengono sempre fatte dai burocrati di Stato, sarà sempre peggio. Come i fatti dimostrano negli ultimi venti almeno (e più). Dispiace dirlo, ma la giustizia era molto più accessibile a fine anni 90 inizio 2000, quando tutto era di carta, che adesso. Sembra un paradosso ma è la triste realtà. Triste per i cittadini, non per lo Stato che invece ha risparmiato moltissimi soldi.
Mi spiego meglio. Cercherò di focalizzarmi sul settore civile e non sul penale, sul quale scriverò in seguito. Inizio dal civile perché è quello che riguarda più da vicino il cittadino. Nel penale si decide se mandare un persona in galera, nel civile si parla di soldi: chi deve pagare cosa e quando, risarcimenti danni, etc…. questo in estrema sintesi.
Fino a venti anni fa, per iscrivere a ruolo una causa civile bastava stampare un modulo di una pagina, compilarlo a penna con i nomi delle parti e l’oggetto della causa. Andare dal tabaccaio e comprare le famose marche da bollo (e Ciceroni), appiccicarli al foglio e portare lo stesso con l’atto giudizio (di carta) con i suoi allegati (di carta) alla cancelleria del Tribunale, che procedeva a fare la parte burocratica di inserire il processo nel registro del sistema nazionale.
Bene … questa modalità era talmente facile e rapida che nessun avvocato chiedeva nulla per questa attività, era considerata una attività accessoria e non veniva fatturata da nessuno. Dieci anni fa sono stati introdotti dei moduli a fini ISTAT. Inspiegabili fogliacci dove l’avvocato doveva indicare tutto le caratteristiche del processo per consentire allo Stato di formulare delle statistiche. Ma perché non se lo sono fatti da soli ?? Eh no … deve farlo l’avvocato! A gratis … ovviamente. E sia … fatto.
Non basta. Dopo qualche hanno ancora è arrivata la meravigliosa riforma digitale, con i suoi pin, puk, sdip, smamm, firme digitali, redigo, PST, etc… un delirio di nomi utente, password e portali diversi di ogni natura per accedere a diverse fasi della giustizia. Si avete capito bene, non esiste un portale solo. Ne esistono diversi. Siamo arrivati al punto che fare una iscrizione a ruolo di una semplice causa civile, che ne so, di mancata esecuzione di un contratto, è molto ma molto più complicato che preparare l’atto introduttivo della causa stessa, che è il cuore della vicenda!
Per iscrive a ruolo una causa l’avvocato deve creare il PagoPA con uno speciale software (dove deve inserire tutti i dati di tutti le parti, codici fiscali, nomi, etc…) e lo deve mandare al cliente che lo paga e glielo rimanda pagato. Va quindi scansionato ed inserito come allegato in un altro software che serve a fare l’iscrizione a ruolo della causa. Anche qui vanno scansionati tutti gli allegati in un certo formato e va aggiunto l’atto firmato digitalmente etc… Un delirio di burocrazia che richiede una mattina di lavoro.
Tutto ciò ricade , come costo, sul cittadino. Perché se prima l’avvocato non chiedeva nulla per andare dal tabaccaio a comprare una marca, adesso, che deve impiegare una mattina intera di lavoro caricherà sul cliente dai 300 ai 500 euro. Provate a chiamare un elettricista od un idraulico e fategli perdere una mattina e poi vederete il conto. Alla fine del salmo, da questa riforma digitale il cittadino ha solo perso.
L’accesso alla giustizia costa molto più di prima in compenso i tempi del processo sono gli stessi e non penso proprio che la riforma Cartabia porterà dei sostanziali vantaggi, come invece è stato promesso alla UE per ottenere i fondi del PNRR. Uno dei “cavalli da battaglia” della riforma c.d. Cartabia era il “procedimento semplificato”, che avrebbe dovuto accelerare i tempi del processo. Vi leggo l’art. 281 decies CPC “Quando i fatti della causa non sono controversi …”, inutile andare avanti. Ma quando mai i fatti della causa non sono controversi ? E cosa ci vanno a fare in Tribunale ? Per disquisire in punta di diritto come dei filosofi?
E’ ovvio che nel 98% del processi i fatti sono controversi ed ognuno ha una sua versione diversa dalla controparte ! L’articolo appare quindi inapplicabile alla grandissima maggioranza dei casi. Sempre per avvalorare la mia tesi del disinteresse per gli interessi sostanziali del cittadino con una digitalizzazione fatta per far risparmiare lo stato e non per dare un servizio migliore, vi vorrei brevemente portare l’esempio della “conversione del pignoramento”.
Tale procedura è prevista per i debitori che non riescono a pagare tutti i propri debiti e quindi subiscono un pignoramento mobiliare (di oggetti mobili). In loro favore è astrattamente previsto che essi possano chiedere al giudice di poter pagare il debito in rate (max. 48). Bellissimo principio, peccato che la “digitalizzazione” ed il mitico processo telematico lo abbiano reso praticamente impossibile.
Mi spiego meglio. Arriva l’ufficiale giudiziario a casa del debitore e pignora i beni, fa una lista delle cose pignorate, che lascia al debitore con l’avviso che non può più vendere quelle cose etc…. E’ però il creditore procedente (il suo avvocato per l’esattezza), che entro trenta giorni deve procedere all’iscrizione a ruolo del pignoramento, per far si che sia creato il fascicolo telematico ed assegnato un numero alla procedura.
L’istanza di rateizzazione (conversione) può essere proposta in via telematica dal debitore solo avendo quel numero, che però nessuno gli fornisce. Non è previsto dalla normativa. Senza quel numero magico, il sistema telematico non accetta l’istanza. Ma questo povero Cristo come dovrebbe fare a depositare tale istanza al giudice? Ve lo dico io. L’avvocato del debitore dovrà ogni mattina, per 30 giorni (e più…) recarsi in Tribunale, presso la cancelleria del giudice dell’esecuzione mobiliare per chiedere questo benedetto numero. Con tanto di cose, viaggio andare e tornare, etc… E quanto costa tutto ciò ? Tanto. Perché nessuno ha previsto una comunicazione “telematica e digitalizzata”o una semplice email al debitore ? Perché il cittadino non è al centro! Questa è la mia risposta. Ai posteri l’ardua sentenza. Forse ai posters.