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Il caso.

Il ricorrente, che rientra nella qualifica di soggetto consumatore, si trova in una situazione di sovraindebitamento, poiché versa in una condizione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte, con conseguente incapacità di far fronte agli obblighi assunti.

La genesi del sovraindebitamento deriva dall’aver contratto un mutuo fondiario nel 2006, in una vicenda del tutto particolare. Infatti, il debitore si era messo in affari con il fratello della compagna, progettando di acquistare un immobile da ristrutturare in economia, per rivenderlo una volta risistemato, e trarne un profitto.

Secondo gli accordi l’immobile sarebbe stato intestato solo al socio in affari, mentre il mutuo fondiario sarebbe stato cointestato tra i due, ma il ricorrente non avrebbe dovuto pagare le rate del mutuo, poiché avrebbe messo a disposizione le proprie abilità di artigiano per la ristrutturazione.

L’importo del mutuo, contratto con un primario istituto di credito, è pari a € 272.500, a tasso variabile e con durata trentennale, a fronte di un prezzo di acquisto dell’immobile pari a € 192.000; sull’immobile viene iscritta ipoteca per complessivi € 816.000. Contestualmente i due mutuatari sottoscrivono una polizza che assicura il credito, con pagamento anticipato del premio, e una polizza incendio a capitale decrescente, con rimborso in 160 mesi.

Anziché iniziare i lavori di ristrutturazione, utilizzando la differenza tra la somma erogata dalla banca e il prezzo di acquisto dell’immobile, l’altro socio decide che sia meglio affittarlo, in attesa della ripresa del mercato immobiliare. Ben presto tale persona si rivela per la sua disonestà, affittando l’appartamento per un solo anno senza contratto, e poi trasferendosi nell’immobile con la sua famiglia.

Nel contempo i tassi d’interesse aumentano fino a rendere difficoltoso il pagamento della rata del mutuo da parte dell’altro socio, che chiede al ricorrente un aiuto economico, che questi concede. A tutto il 2014 la somma corrisposta dai mutuatari ammonta a € 116.094,88; nel 2015 gli stessi promuovono un giudizio nei confronti della banca per accertare il superamento del tasso soglia e ottenere la restituzione delle somme pagate, oltre ai danni. La domanda sarà respinta in primo e in secondo grado, con condanna alle spese legali a carico degli attori per il primo grado, e del solo ricorrente – unico appellante – per il secondo grado, con raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 c.1 quater DPR30.05.2002 n. 115, per l’importo di € 1.138,50.

Il socio non si adopera affatto per ricercare un compratore o un conduttore e sanare la posizione debitoria, continuando a utilizzare l’immobile come residenza; perdipiù il ricorrente viene a conoscenza che il socio ha contratto ulteriori debiti, che sull’immobile è stata iscritta un’altra ipoteca ed è stata promossa un’espropriazione immobiliare, in cui la banca mutuataria è intervenuta.

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In definitiva l’esposizione debitoria del ricorrente deriva dal contratto di mutuo fondiario e dalle spese legali derivanti dalle sentenze dei giudizi citati, solo parzialmente pagate. Risulta inoltre che l’ex socio e co-mutuatario abbia presentato domanda di liquidazione del patrimonio.

L’advisor interpellato individua nella ristrutturazione dei debiti del consumatore (ex piano del consumatore ex l. 3/12), prevista dagli artt. 67 e ss. C.C.I.I., la procedura idonea ad affrontare e risolvere il caso.

 

La situazione descritta nel ricorso.

Patrimonialmente il ricorrente non possiede beni immobili o mobili registrati, vive in un alloggio concessogli in qualità di socio di cooperativa edilizia, e l’unica fonte di reddito è lo stipendio da lavoro dipendente. Vengono prodotte le dichiarazioni dei redditi dell’epoca dell’assunzione del mutuo, oltre a quelle più recenti.

Viene esposta e documentata la spesa media mensile necessaria alle esigenze del nucleo familiare, e si dà atto che non è ipotizzabile il ricorso a finanza esterna.

La verifica circa l’entità del debito derivante dal mutuo fondiario porta ad individuare un importo complessivo pari a € 293.443,58, credito oggetto di cessione di credito dalla banca mutuataria ad altro soggetto giuridico; il residuo debito, pari a € 12.015,00 deriva dal saldo delle spese legali da rimborsare all’istituto di credito in esito ai giudizi civili di primo e secondo grado già citati.

Successivamente alla verifica del credito derivante dal mutuo fondiario si è perfezionata la vendita dell’immobile ipotecato nell’ambito dell’esecuzione immobiliare pendente, con un ricavo di € 183.000; detratta tale cifra dal totale comunicato dal cessionario del credito, oltre a una somma forfettaria di € 10.000 per le spese della procedura esecutiva, si può determinare presuntivamente nella somma di € 120.433,58 il residuo del debito ex mutuo.

In sintesi, a fronte di un capitale erogato di € 272.500, i comutuatari hanno restituito alla banca la somma di € 116.094,88, oltre al ricavato della vendita dell’immobile all’incanto, pari a € 173.000, per complessivi € 290.000: il debito residuo riguarda pertanto gli interessi di mora.

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La proposta di piano viene così strutturata: il pagamento di una prima maxi rata dell’importo di € 9.000, di cui 1.138,50 destinati alla Corte d’Appello di Bologna, creditore privilegiato per il raddoppio del contributo unificato, ed il residuo di € 7.861,50 al creditore chirografario cessionario del credito della banca per il mutuo fondiario.

Successivamente si prevedono nn. 36 rate dell’importo di € 300 l’una, a favore della società cessionaria del credito della banca mutuante, per interessi e residuo delle spese legali di causa, per un totale pari a € 10.800; la somma offerta alla cessionaria risulta così pari a € 18.672,41, pari a c.a. il 14% del credito. La somma totale messa a disposizione dei creditori, comprensiva dell’imposta di registro sul decreto di omologa, ammonta pertanto a € 20.010,91.

Nel ricorso si evidenzia altresì la condotta dell’istituto di credito che ha erogato consapevolmente il mutuo a soggetti non in grado di onorarne i costi, in violazione delle regole di valutazione del merito creditizio definite dall’art. 124 T.U.B. e del limite di finanziabilità dei mutui di cui all’art. 38 T.U.B.

Condotta colpevole del creditore che comporta la sanzione dell’inammissibilità della presentazione di opposizione o reclamo in sede di omologa, ai sensi dell’art. 69, com. II C.C.I.I.

Il ricorrente sottolinea infine che l’alternativa liquidatoria non porterebbe a esiti migliori per i creditori, poiché in assenza di beni e in presenza del solo reddito da lavoro dipendente, l’ipotetico pignoramento del quinto degli emolumenti moltiplicato per 36 mesi determinerebbe una somma totale inferiore a quella offerta con il piano, tenuto conto anche dei costi connessi alla procedura di liquidazione.

 

L’accoglimento della proposta e l’omologa da parte del Tribunale.

Il Giudice designato, letti il ricorso del debitore e la relazione dei gestori del collegio O.C.C., ritenendo sussistere i presupposti di ammissibilità della proposta e del piano e l’assenza di condizioni ostative, dispone il divieto di azioni esecutive e cautelari sul patrimonio del debitore, con divieto allo stesso di compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione, e dispone che l’O.C.C. effettui gli adempimenti previsti dall’art. 70 C.C.I.I., riservandosi all’esito sulla richiesta di omologa.

Verificata l’esecuzione degli adempimenti a cura dell’O.C.C., il quale riferisce che non sono pervenute osservazioni dei creditori, il Giudice, ritenuto il piano fattibile, ne dispone l’omologa.

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