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La vicenda processuale

Il Tribunale di Asti condannava l’imputato per il reato di violenza sessuale pluriaggravata e per quello di lesioni.

La Corte d’appello confermava la sentenza di condanna con riferimento ai soli reati commessi dall’imputato il giorno 30 gennaio 2021, assolvendolo per quelli a lui attribuiti in epoca precedente.

La Corte territoriale, in particolare, ha ritenuto che la vittima “non avesse scelto di “fidanzarsi” con l’uomo, ma che non si sarebbe opposta a tale fidanzamento, ingenerando così sia nell’imputato che nei terzi il ragionevole convincimento di una sua libera adesione alla relazione sentimentale”. Ella, dunque, avrebbe accettato passivamente la presenza dell’imputato nella sua abitazione e le sue richieste sessuali. Tali condotte sono state reputate idonee a giustificare l’assenza dell’elemento soggettivo della violenza sessuale per tutti i fatti avvenuti fino al 30 gennaio 2021, data in cui, invece, le lesioni e la violenza sessuale sono state ritenute integrate dal collegio di merito.

Avverso tale provvedimento, l’imputato proponeva ricorso per cassazione.

Egli ha dedotto, tra l’altro, il vizio della motivazione della sentenza di appello con riferimento all’attendibilità della persona offesa. Quest’ultima, infatti, aveva negato la sussistenza di una relazione sentimentale con l’imputato; tale relazione, invece, è stata ritenuta esistente dal collegio territoriale; nonostante ciò, il racconto della donna è stato ritenuto credibile ancorché solo nella parte relativa alla violenza subita in data 30 gennaio 2021.

Il medesimo vizio è stato dedotto in merito all’affermazione, sempre contenuta nella sentenza impugnata, della sussistenza dell’elemento soggettivo della violenza sessuale sia pure limitatamente ai fatti avvenuti nella data indicata. A tal proposito il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe desunto l’elemento del reato da un postfactum che, invece, sarebbe irrilevante, cioè l’uscita di casa della donna dopo il rapporto sessuale per presentare la denuncia alle forze dell’ordine, mentre l’uomo, ubriaco, dormiva.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando la sentenza impugnata con rinvio.

In tema di violenza sessuale – ha osservato la Cassazione – il consenso all’atto sessuale deve sussistere nel momento del rapporto, a prescindere dal comportamento precedente della vittima, anche eventualmente provocatorio, e deve permanere per tutta la durata dello stesso.

L’eventuale sopravvenuto dissenso permette di ritenere integrato il reato, oltre a precludere il riconoscimento dell’attenuante della minore gravità in presenza delle altre condizioni di legge.

Così fissate le coordinate giuridiche da applicare nel caso concreto, la Corte ha rilevato che, all’esito dei giudizi di merito, è stato accertato che la donna ha denunciato l’imputato, con il quale aveva coabitato per un certo periodo, avendolo ospitato in casa sua, perché l’uomo aveva assunto un atteggiamento di prevaricazione e di sopraffazione nei suoi confronti, costringendola ad avere rapporti sessuali non voluti, e perché approfittava delle sue menomate capacità fisiche e della sua fragilità psichica derivante dalla condizione di donna sola, per giunta affetta da invalidità civile a seguito di un ictus, tanto che aveva bisogno di aiuto nello svolgimento delle attività quotidiane.

La denuncia è stata presentata il 30 gennaio 2021, data in cui la donna ha narrato di aver subito l’ennesima violenza sessuale. In questa occasione, dopo il rapporto sessuale non voluto dalla vittima, approfittando del fatto che l’imputato si era addormentato, anche perché ubriaco, la donna era uscita di casa ed aveva chiamato i carabinieri.

Il racconto delle violenze che la vittima ha fatto nella denuncia è stato confermato, nel corso delle indagini preliminari, da un terzo soggetto che viveva nella medesima casa. Il teste, però, ascoltato in dibattimento, ha ritrattato le sue affermazioni.

Il brigadiere dei carabinieri intervenuto nella notte della denuncia, invece, ha dichiarato che la donna era impaurita, presentava le guance rosse, un deficit al braccio e alla mano destra e non voleva salire in casa.

L’imputato, infine, ha negato gli addebiti asserendo che era legato alla donna da una relazione sentimentale, circostanza, peraltro, confermata dagli amici.

Sulla base di questi elementi, il tribunale ha condannato l’imputato ritenendo affidabile e pienamente riscontrato il racconto della denunciante.

La Corte d’appello, invece, dopo aver risentito la donna, ha ridimensionato la vicenda, confermando la condanna solo per l’episodio del 30 gennaio 2021.

In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente una relazione sentimentale tra l’imputato e la vittima, sebbene questa relazione fosse negata dalla donna, desumendone l’esistenza dall’intenso scambio di messaggi WhatsApp, dall’ospitalità nello stesso letto e dall’esibizione di effusioni in pubblico. Si sarebbe trattato, pertanto, dell’accettazione passiva da parte della donna della presenza nella sua abitazione dell’imputato e delle richieste sessuali dell’uomo, da lei conosciuto su Facebook.

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Tale accettazione passiva è stata reputata idonea a giustificare l’assenza dell’elemento soggettivo della violenza sessuale fino al 30 gennaio 2021. L’imputato non avrebbe percepito il dissenso della donna.

I fatti avvenuti nella data appena indicata, invece, sono stati ritenuti integrare pienamente i reati di lesioni e di violenza sessuale.

In tale passaggio della decisione della Corte d’appello, tuttavia, la Corte di Cassazione ha ravvisato il difetto della motivazione della decisione impugnata.

Il collegio di merito, infatti, non ha spiegato cosa sarebbe cambiato nella relazione tra l’imputato e la vittima nella notte del 30 gennaio 2021 per cui il primo avrebbe dovuto acquisire la consapevolezza del dissenso della donna.

A tal proposito, non sarebbe possibile il desumere la sussistenza del dissenso della vittima e la consapevolezza dello stesso da parte dell’imputato dal certificato medico in atti, come pure aveva fatto la Corte di appello. I sanitari del pronto soccorso che hanno visitato la donna dopo la denuncia, infatti, pur avendo adottato tutte le misure previste dal protocollo antiviolenza, non hanno certificato, né la violenza, né le lesioni, tanto che la paziente era stata dimessa con prognosi di 7 giorni senza terapia e senza neanche la necessità di sostegno psicologico, sebbene avesse narrato di un abuso sessuale reiterato e di maltrattamenti.

La Corte di appello, inoltre, ha ritenuto che l’imputato, essendo ubriaco, non sarebbe stato in grado di percepire il dissenso della vittima. Secondo la Corte di Cassazione, sotto questo profilo è stata compiuta una decisione congetturale, quanto al fatto che, da ubriaco, l’imputato non avesse potuto avere consapevolezza di desideri della donna, e contraddittoria rispetto all’assoluzione da tutti i precedenti episodi di violenza sessuale per la mancata espressione del dissenso alla partecipazione agli atti sessuali da parte della vittima.

Sulla base di queste considerazioni, la Corte ha annullato la condanna, disponendo lo svolgimento di un nuovo giudizio di merito.

Osservazioni

Una vicenda piuttosto articolata, che sottende delicate problematiche di natura umana, ha offerto alla Corte di Cassazione l’occasione per ribadire principi giurisprudenziali ormai consolidati.

In tema di violenza sessuale, la sussistenza del consenso all’atto, che esclude la configurabilità del reato, deve essere verificata in relazione al momento del compimento dell’atto stesso (Cass. pen. sez. III, n. 7873 del 19/1/2022).

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L’eventuale condotta provocatoria antecedente tenuta dalla persona offesa, pertanto, è irrilevante (Cass. pen. sez. III, n. 7873 del 19/01/2022, cit.). Nel caso di specie, dunque, è irrilevante che la vittima avesse accettato la presenza dell’imputato nella sua abitazione e nel suo letto.

Nei rapporti tra maggiorenni, invero, il consenso agli atti sessuali deve perdurare nel corso dell’intero rapporto senza soluzione di continuità, con la conseguenza che integra il reato di cui all’art. 609-bis c.p. la prosecuzione del rapporto nel caso in cui, successivamente a un consenso originariamente prestato, intervenga “in itinere” una manifestazione di dissenso (Cass. pen. sez. IV, n. 24167 del 04/04/2023). Il consenso iniziale all’atto sessuale, dunque, non è sufficiente ad escludere la sussistenza del reato quando “in itinere” subentri il dissenso della vittima, a seguito di un ripensamento o della non condivisione delle forme o modalità di consumazione dell’amplesso (Cass. pen. sez. III, n. 25727 del 24/02/2004), che vale a trasformare il fatto in atto violento (Cass. pen. sez. III, n. 39428 del 21/09/2007).

Il dissenso può essere anche non esplicito, ma espresso per fatti concludenti chiaramente indicativi della volontà contraria alla prosecuzione dell’atto sessuale (Cass. pen. sez. III, n. 15010 del 11/12/2018). Anzi, in tema di atti sessuali, non sussiste in capo alla vittima un onere di espressione del dissenso alla intromissione di soggetti terzi nella propria sfera sessuale, dovendosi al contrario ritenere, proprio in ragione dell’intimità della dimensione personale attinta, che tale dissenso sia da presumersi e che pertanto sia necessaria, ai fini dell’esclusione dell’offensività della condotta, una manifestazione di consenso del soggetto passivo che quand’anche non espresso, presenti segni chiari ed univoci che consentano di ritenerlo esplicitato in forma tacita (Cass. pen. sez. III, n. 32846 del 17/06/2022).

Del resto, ai fini della configurabilità del delitto di violenza sessuale, non si richiede che la violenza sia tale da annullare la volontà del soggetto passivo, ma è sufficiente che la volontà risulti coartata. Neppure è necessario che l’uso della violenza o della minaccia sia contestuale al rapporto sessuale per tutto il tempo, dall’inizio fino al congiungimento: è sufficiente, invece, che il rapporto sessuale non voluto dalla parte offesa sia consumato anche solo approfittando dello stato di prostrazione, angoscia o diminuita resistenza in cui la vittima è ridotta. E il dissenso della vittima può essere desunto da una molteplicità di fattori anche a prescindere dalla esistenza di riscontri fisici sul corpo della vittima, essendo sufficiente la costrizione ad un consenso viziato (Cass. pen. sez. III, n. 19611 del 04/03/2021).

Ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa (Cass. pen. sez. III, n. 4913 del 16/12/2022, dep. 2023; Cass. pen. sez. III, n. 49597 del 09/03/2016, dep. 2017).

Anche in caso di dissenso della vittima al rapporto sessuale solo sopravvenuto, infine, quando, per i mezzi, le modalità esecutive della condotta, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e mentali di questa, e le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, si realizzi una significativa compromissione della libertà sessuale (Cass. n. 16440 del 22/01/2020). Ai fini del riconoscimento della diminuente per i casi di minore gravità di cui all’art. 609-quater, comma 4, c.p., difatti, deve farsi riferimento alla valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età (Cass. pen. sez. III, n. 46461 del 16/05/2017).

Riferimenti normativi:

Art. 609-bis c.p.

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