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Social network influencer: come pagare le tasse e quali redditi devono essere dichiarati al fisco? Dalla Partita IVA ai corrispettivi in natura, ecco tutto ciò che devi sapere.

Sei un influencer, uno youtuber, un tiktoker, uno streamer o comunque un content creator? Hai mai ricevuto prodotti, servizi o pagamenti per le tue attività online? Se sì, come gestisci questi guadagni dal punto di vista fiscale? Hai aperto la Partita Iva, hai dichiarato i guadagni al Fisco o hai denunciato i beni che ti sono stati spediti dalle case produttrici in cambio di un po’ di pubblicità? Saprai bene che l’evasione fiscale costituisce un grave illecito che, da amministrativo, diventa penale quando si conseguono redditi elevati come possono essere quelli derivanti dall’attività su internet. E del resto non sono infrequenti i casi di youtuber condannati per omessa dichiarazione dei redditi.

In questo articolo, riferendoci a creator e influencer, spiegheremo come dichiarare i guadagni online. Spiegheremo quando bisogna fare la dichiarazione dei redditi e cosa rischia invece chi non la presenta; vedremo quando bisogna aprire la Partita Iva e qual è – se esiste – il limite di reddito al di sotto del quale si è fiscalmente irrilevanti. E vedremo soprattutto quale regime adottare per pagare meno imposte. Ma procediamo con ordine.

Chi sono gli influencer?

Avrai certamente sentito parlare di influencer. Ma di tale concetto si fa abuso, includendo in esso soggetti che tali non sono pur avendo diverse centinaia di migliaia di follower e/o ricavando lauti guadagni da internet.

Iniziamo col dire che non tutti coloro che sono presenti sui social o hanno un blog sono influencer. Ci sono anche i divulgatori (o anche detti expert) a cui non interessa affatto “influenzare” le masse dei propri follower ma vogliono solo spiegare a tutti le proprie conoscenze con linguaggio semplice e accessibile a tutti. Ve ne sono nel mondo dello sport, della fotografia, della cucina, delle professioni, della tecnologia. Molti di questi traggono vantaggi economici non tanto sulle piattaforme ma dalla conversione dei fan in clienti; si pensi a un commercialista, a un medico, a un nutrizionista che, nel dare consigli gratuiti in rete, si fa poi pagare le consulenze professionali da chi si rivolge direttamente a lui.

È poi importante distinguere tra influencer e celebrity. Se gli influencer sono, di regola, personaggi nati e diventati famosi sui social network, con una competenza verticale (come il gaming) o traversale (giudizi su qualsiasi ambito della vita quotidiana), le celebrity invece hanno visto nascere la propria fama al di fuori dei social media, grazie ai programmi tv per esempio, mentre sui social hanno solo trasportato la loro popolarità creando format

ad hoc.

Infine ci sono i creator, personaggi nati sui social network, ma con una particolare spinta creativa e una forte capacità di intrattenimento. Si tratta, in particolare, di coloro che realizzano video divertenti o artistici, che hanno un’inventiva superiore a quella di un semplice utente social.

Quanto vale l’influencer marketing?

Sempre più aziende credono oggi nell’influencer marketing dirottando verso questo settore i propri investimenti in campo pubblicitario. Si pensi che circa il 49% dei consumatori si affida ai consigli degli influencer prima di acquistare (dati Digital Marketing Institute). Secondo una valutazione contenuta nel report di Influencer Marketing Hub, l’82% di aziende ritiene molto più qualitativi i clienti derivati da campagne di influencer marketing rispetto a quelli derivati da altri tipi di promozione.

Secondo stime dell’Osservatorio nazionale di influencer marketing (Onim), la spesa in collaborazioni fra brand e influencer supererà nel 2023 i 400 milioni di euro (con un incremento del +5% sul 2022 e del +47% sul 2021).

In verità, la figura dell’influencer non è così nuova. Sin dagli anni ’50 esistevano i testimonial. Oggi i social non hanno fatto altro che ampliare i soggetti che pubblicizzano i brand. Se un tempo i personaggi della televisione sponsorizzavano, nel corso delle proprie trasmissioni, brand tra loro eterogenei (dall’acqua minerale alle pellicce, dai materassi alle cucine), oggi le aziende si rivolgono a personaggi del web verticalizzati in un determinato settore commerciale, ottenendo così una maggiore targhettizzazione dell’utenza-clientela.

Attività di influencer e creator online: va dichiarata all’Agenzia delle Entrate?

Molti credono che l’attività saltuaria di sponsorizzazione di brand fatta sui social sia fiscalmente irrilevante o lo sia entro determinati importi (diffusa è la falsa convinzione che fino a 5.000 euro di reddito non si debba dichiarare nulla). Nulla di più falso. Anche chi guadagna un solo euro è tenuto a dichiararlo al fisco. E non importa se non ha un’attività ad hoc dedicata appunto ai ricavi pubblicitari: l’articolo 67 del Tuir (Testo Unico sulle Imposte sui Redditi) disciplina i cosiddetti

redditi diversi. E, tra questi, vi sono anche quelli derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente e, più in generale, dalla assunzione di «obblighi di fare, non fare o permettere». Qualunque impegno (ad esempio: promuovere un prodotto, realizzare un video per un fan) produce un reddito imponibile se si riceve qualcosa in cambio. Può trattarsi di denaro o di semplici beni o servizi: anche questi ultimi vanno dichiarati. Tutto insomma va dichiarato.

Facciamo un esempio: se un’azienda ti paga o ti regala qualcosa per realizzare un video, quel pagamento o quel regalo è considerato reddito.

Come dicevamo sopra, quindi, anche chi guadagna meno di 5.000 euro in un anno deve presentare la dichiarazione dei redditi e deve dichiarare quanto ricevuto dalla propria attività online.

Tuttavia è anche vero che, per scambi di scarso valore il rischio di accertamento è quasi nullo: l’adolescente a cui un’azienda regala qualche cofanetto di trucchi da promuovere con post o story, ben difficilmente si troverà nel mirino del Fisco.

Cosa rischia chi non presenta la dichiarazione dei redditi?

Dobbiamo distinguere due diverse ipotesi:

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  • quella di chi riceve redditi e non presenta la dichiarazione dei redditi: si tratta di un illecito amministrativo punito con una sanzione economica rapportata all’entità dei redditi evasi. Ma scatta il reato – e quindi si passa alle punizioni penali – quando l’imposta evasa è superiore a 50mila euro (prima era 30mila);
  • quella di chi presenta la dichiarazione ma non vi include i redditi dichiarati online (cosiddetta dichiarazione infedele). In tal caso il reato sussiste se: a) l’imposta evasa è superiore a 100mila euro; b) e i redditi non dichiarati superano il 10% del totale o comunque i 2 milioni di euro. La sanzione è la reclusione da 2 anni a 4 anni e 6 mesi.

Queste regole valgono quindi anche per gli influencer e i creatori: anche loro devono dichiarare tutti i redditi percepiti, indipendentemente dal fatto che si tratti di pochi spiccioli o meno. Insomma, il fisco si accorge di voi anche perché le aziende e le stesse agenzie di pubblicità, Google Ads in prima linea, pagano in modalità tracciabile ossia con bonifici.

Quando bisogna aprire la Partita Iva?

È difficile trovare un influencer che abbia una Partita Iva, eppure la legge è abbastanza chiara nel precisare che, quando tale attività viene esercitata in via continuativa, la Partita Iva è obbligatoria.

Due sono le ipotesi che possono verificarsi:

  • attività occasionali, esercitate cioè non in modo continuativo e professionale: i redditi vanno comunque dichiarati e bisogna pagare le imposte sui redditi percepiti (anche se in natura). Si è quindi soggetti all’Irpef come qualsiasi altro contribuente;
  • attività abituali: in tal caso bisogna aprire la Partita Iva e iscriversi alla gestione separata dell’Inps, pagando i relativi contributi previdenziali. Solo chi ha un reddito inferiore a 5.000 euro non deve aprire la posizione all’Inps.

Ad esempio, se guadagni 4.500 euro all’anno dai tuoi abbonati, potresti dover considerare se ciò rappresenta un’attività abituale o occasionale.

Come funziona il regime forfettario?

Chi apre la Partita IVA e ha ricavi fino a 85.000 euro può optare per il

regime forfettario. Questo prevede una tassazione sul 78% dei ricavi, con un’imposta del 15%, ridotta al 5% per i primi cinque anni.

Quindi con ricavi di 10.000 euro, l’imponibile è 7.800 euro, indipendentemente dai costi effettivi.

I contributi Inps pesano per il 26,23%, ma sono deducibili. Non vi sono obblighi contabili né adempimenti Iva, a parte la fatturazione elettronica.

Per le attività occasionali, invece, si tassa la differenza tra quanto incassato nell’anno e le spese «specificamente» inerenti: ad esempio, si deducono le commissioni applicate dalla piattaforma sugli incassi. Indeducibili, invece, beni e servizi che, pur se utilizzati nell’attività, non sono riferibili a essa in via esclusiva, come l’acquisto del pc o tablet, l’abbonamento internet, i costi del cloud, e così via.

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Come dichiarare i corrispettivi in natura?

Se, a fronte della tua attività online, anziché ottenere denaro ricevi beni, servizi, buoni spesa o accessi gratuiti come compenso, anche questi sono considerati corrispettivi in natura e devono essere dichiarati.

Ad esempio: se ricevi un orologio di lusso come pagamento, dovresti dichiarare il suo valore effettivo al fisco.

E i pagamenti in criptovalute o conti esteri?

Qualsiasi pagamento ricevuto su conti esteri o in criptovalute deve essere dichiarato e indicato nel quadro RW tra gli investimenti esteri.

Se ricevi un pagamento attraverso PayPal anche questo deve essere dichiarato.

Cosa fare delle “donazioni” ricevute?

Le donazioni o i token ricevuti dai fan potrebbero essere tassabili, a meno che non siano di valore molto basso, come 1 euro.

Accertamenti sui social network

La Cassazione (ordinanza n. 26987/2019) ritiene che l’Agenzia delle Entrate possa avvalersi, nell’effettuare i controlli sugli evasori, dei dati forniti dai social network per fondare le proprie contestazioni, accertando i redditi non dichiarati sulla base delle transazioni registrate online. Ricordiamo infatti che l’attività sui social è archiviata digitalmente e che tutti i pagamenti elettronici sono tracciabili. Dunque per il Fisco è facile verificare le dimensioni delle attività di ogni utente.

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